12.22.2011
quando il gatto scappa
quelli sono i veri giorni bui.
chi sei? chi sono? ti chiedi, dentro a vestiti sbagliati, scarpe spaiate, calzini di un colore improbabile. a volte ti viene richiesto di metterti maglie rosa, e non le vuoi mettere, ma è un dovere sociale.
è un giorno buio, quando devi stringere i denti e andare avanti, volendo aver addosso solo unb urqua e dovendo dimostrare che se sei qualcuno devi fare qualcuno.
o sei altro. artista? artista...ma cosa vuole dire? cosa vuol dire che sei strano? cosa vuol dire?
ridete. nei giorni bui, ridete. a squarciagola.
vi giuro, mi viene da prendervi a pugni in bocca. ma poi so che dentro quei giubbini lì giro culo qualcuno c'è.
il problema è che te non lo sai che ci sei. è un giorno buio anche per te.
e danziamo, facendo finta di niente, facendo finta che vadabene e vadamale, che ciao come va, che tutto bene grazie e auguri se non ci vediamo.
è quasi natale. lo sento brutto. ci scontriamo. poi no, è solo paura.
vorrei uscire con le scarpe rosse quando fuori c'è neve e non sentire il peso sulle spalle che mi fa sprofondare, il peso di non aver addosso il cappotto marrone.
ma è un giorno buio, metterò i moonboot, farò una piroetta e sorriderò.
lo so. sì lo so e lo sai, ma saperlo a che serve? allora ci metteremo le infradito il 3 di gennaio con -2 gradi solo per sentire che effetto fa il ghiaccio sulle unghie tagliate perchè non è più estate e non ti stanno nelle scarpe.
e aspettando l'atobus che non passa scriveremo t'amo sulla ghiaia e il vento e la grandine e la neve e la pioggia ce lo porteranno via.
è un giorno buio, andiamo a berci un caffè al bar, a spazzolarci i capelli in bagno, a soffiarci il naso e non accarezzare i gatti degli sconosciuti. chiudiamo il cancello. i balconi e facciamo finta, che vada tuttobenetuttomale.
12.20.2011
una banana al giorno
ma ecco come le cose, sono andate, in prospettiva.
avere ventanni. e vivere alla cazzo. o almeno credere di farlo.
prendere lo stesso mezzo, tutti i giorni, per fare, almeno per parte del giorno, la stessa cosa.
sali, scendi, salgo, scendi.
ci vediamo, senza vederci. poi passi, poi via.
incontrarsi senza conoscersi, valutarsi, sotto o spravvalutarsi? annoiarsi a morte.
o no, passare dei momenti, a caso, insieme, per caso, uniti dal tram tram della vita.
siamo qui, sono lì, sei lì per caso.
fotoricordo in bianco e nero sbiadite dal tempo, le faccio scorrere veloci.
lo ammetto. ti avevo sottovalutato.
te e quel tuo fottuto modo odioso di parlare.
in prospettiva, se l'avessi capito, avrei evitato di crederti tedioso, cosa che per altro continui ad essere.
rimane comunque il fatto che ti avevo sottovalutato.
mi mangio una banana, per farmene una ragione.
12.14.2011
minaccie o minacce. micce o miccie.
anche dire le parolacce. questa pratica ho scoperto essere diffusa e da svariati anni.
entrambe le pratiche hanno una funzione taumaturgica: di colpo ci si sente vivi e liberati. ma l'effetto dura poco, il tempo di aver finito di dire merda, di dire una barzelletta e alè siamo di nuovo a crucciarsi.
allora più cazzate, più parolacce, più libertà. vero. in parte però.
in alcuni momenti si ha il bisogno di concentrarsi un po' su quelle parole dette per liberazione e ragionarci su. riflettere sul loro vero significato, non su quello che non gli attribuiamo, o sul significato riportato a carattere 3 sul devoto oli. il vero significato di quelle parole non sta in una o nell'altra lettera, ci sta attorno.
personalmente mi sento circondata da cazzate/parolacce. ma queste non sono usate con la funzione, consapevole, di cui qualche riga su. no, queste sono usate nella convinzione che il significato sia altro, che abbia quasi un valore nobiliare, che neppure il devoto oli basti a contenerne l'essenza.
credo di non essere chiara, in questo momento, e con una cazzata direi, per forza, non mi chiamo mica così.
però ragioniamoci un attimo: questa cazzata, divertente magari la prima volta che la senti, fa sorridere me e anche un po' te che stai leggendo fin qua, sempre che non ti si siano "fiapà e bae", nel qual caso, caro avventore, è il caso che tu vada a comprare un compressorino portatile.
per gli altri invece, questa cazzata, significa altro. insomma è una stronzata consapevole.
altra storia è, completamente altra, quella che spinge a credere che il significato di ciò che diciamo sia scritto lì sul devoto. lo diamo per scontato ogni volta che pronunciamo la parola ciao, ad esempio. nel devoto magari l'etimologia c'è anche, ma chi già non la sa di suo, si è chiesto cosa vorrà davvero dire? è un saluto, certo, ma è anche altro. era altro, ma esserselo scordato non ci giustifica.
allo stesso modo, quando si usano le cazzate/parolacce, senza consapevolezza, si cade in quel tranello lì. ci si sente giustificati. e allora tra sè e sè è una bella consolazione, giustificarsi, ma quando si tratta dell'altro, è meglio almeno aprire il devoto, sbirciare, e poi continuare.
il bisogno quindi di concentrarsi un po' non è cosa per tutti eh. non è l'esercizio più facile del mondo o il più semplice. non è che ragionandoci un po' si possa evitare di incorrere nella tremenda giustificazione, questo no, ma, e credo che sia tutto qui il valore, si può cercare di evitare di far incorrere l'altro nello giustificarvi.
amico fiapà, con te non ho speranze, ma con gli altri sì, e magari anche a loro non è che sia molto chiaro.
allora ve lo spiego così: se dici pò e te lo faccio notare e credi di essere nel giusto e vieni insultato. ecco a quel punto minimo un giro sul devoto (o google tipo) te lo devi fare. e no, non per acculturarti, che tanto ormai non c'è speranza, semplicemente per riflettere giusto quei tre secondi prima di minacciarmi. ecco.
12.12.2011
l'uomo è un animale (?)
partiamo da un presupposto: l'uomo è un animale.
se qualcuno vuole contraddirmi su questo faccia pure, ma l'uomo è un animale secondo la definizione standard che divide il mondo nei tre regni classici. (sì, i funghi metteteli dove vi pare però)
non c'è un se lo è, lo è.
allora dato che lo è:
lasciate che l'uomo viva sopraffatto dalle leggi di natura: se il cucciolo che partorisce non è adatto a vivere, lasciate che lo lasci morire, abbandonato da qualche parte, o che lo uccida.
se il suo simile gli ruba cibo, lasciate che lo uccida.
se in due si è pochi, ma in trenta si è troppi, lasciate che i più deboli muoiano.
se per portare avanti la specie c'è bisogno di accoppiamenti multipli e incessanti tra l'epoca della pubertà e quella della menopausa lasciate che avvengano
come dite? l'uomo ha fatto delle regole sin dall'antichità per ovviare alla natura?
dite?
no, perchè a me è sembrato che a Torino, tipo ieri, ci fossero solo animali.
io l'uomo, quello lì che ha fatto delle leggi, che vive nella civiltà come la chiamate voi, io, mica l'ho visto.
12.09.2011
*****...wait for it...*****
sta tutto lì. il savoir faire.
allora stavo pensando se sta tutto lì, basta impararlo.
ma poi mi perdo un po' dietro questi pensieri e finisce che mi chiedo "come mi è venuta st'idea?" (o quell'altra, insomma non importa l'idea, ma il come). come quindi?
ecco su questo processo mentale, quello che non è savoir faire, avrei qualcosa da dire. chiamatemi allucinata.
un'idea non può dipendere dal savoir faire, non completamente almeno. ci deve, e son sicura ci sia, dell'altro.
se è magia? no, ma quale magia. stavo pensando a una pubblicità che ho visto di recente, legata a questa cosa, una pubblicità di un alcolico: il video è diviso a metà: stesso personaggio che fa le stesse cose, ma nel lato sx dello schermo risulta uno sfigato, in quello dx invece uno cool, per usare un'inutile inglesismo.
sul savoir faire ci siamo: entrambe, che poi son lo stesso, sanno "come si fa", però i risultati son diversissimi.
cosa cambia, allora, tra i due?
chissà cosa voleva dimostrare il pubblicitario, non lo so. ma io ci vedo solo questo gap enorme, e io mi chiedo solo, come lo colmi quel gap?
sta tutto lì. il colmare il gap. che non è possedere il savoir faire.il know how. è qualcosa d'altro.
ma cosa?
e torno al come: come mi viene un'idea? possediamo più o meno tutti lo stesso bagaglio di savoire faire. quello di base è lo stesso, tutti sappiamo come rispondere al mago. do per assodato questo.
ma com'è che ti viene naturale o ci devi pensare? com'è che le azioni, le reazioni, e tutto questo bagaglio, si esprime in modo così diverso da individuo ad individuo?
come a me viene un'idea e come a te viene un'idea?
"come" uno è sfigato e "come" uno non lo è.
non ho una risposta. e non so se la troverò.
ma mi son fatta delle domande.
ad una di queste ho deciso di rispondermi con 203 (sì, 42 era scontato.).
ho così colmato un personale gap.
12.07.2011
12.05.2011
la vanga e il rastrello
C'era una volta una vanga, non una qualunque, era una vanga con un certo prestigio.
La Vanga veniva riposta ogni notte nel ricovero degli attrezzi 6x4 metri. Legno massiccio. La Vanga aveva un manico di faggio ed era di acciaio inossidabile. Forte e potente, in un secondo spezzava un ramo secco. La Vanga non temeva il caldo e il freddo e poi tanto usciva allo scoperto due tre volte l'anno, in primavera per un nuovo raccolto da crescere, a fine estate per far riposare la terra. La Vanga era nuova, scintillante, priva di nodi, bellissima.
Rastrello viveva desolato adagiato alla rete metallica ormai consunta, stropicciata dal tempo, così arrugginita che solo a vederla ti veniva il tetano. Lui stava lì, giorno, notte, pioggia e vento. Gli si era storto il manico l'inverno prima, e ora, dopo l'ultima ghiacciata, gli si era spezzato circa a metà. qualcuno gliel'aveva ricucito con chiodi arrugginiti e ora, storto com'era, poteva esser buono solo per raccogliere i fiori. Le sue dita, una volta blu, tendevano al marrone scuro. Era ferro ricoperto, ferro che fu, ora solo ruggine. Aveva anche perso qualche dita, qualche altra era spezzata. Ma lui stava lì. Ogni stagione era buona per lui: togliere un po' di neve d'inverno, raccogliere l'erba tagliata, l'erba che non serve più, le foglie cadute in guerra, le lacrime degli alberi deturpate, i cachi sciolti insieme ai fichi. Rastrello era sempre lì, a fare il suo lavoro, certo con dignità, ma con fatica, sempre più fatica.
La Vanga lo guardava quelle 2 volte l'anno che usciva, lo guardava e lo compativa, in realtà non lo capiva, ma in fondo, era un po' triste per quel suo collo sempre più rotto, per le sue dita sempre più mal ridotte. Un po' si dispiaceva che Rastrello non vivesse al caldo, un po', invece, ne era quasi contenta, forse le avrebbe fatto un po' schifo trovarselo in casa.
Rastrello la guardava, dondolandosi sulla rete, sperando di essere notato, si dondolava quasi sino a cadere. La guardava sfilare davanti ai suoi occhi. Non era amore il suo, era invidia, più che altro, non la capiva. Usciva due volte l'anno e non lo filava mai, non gli rivolgeva lo sguardo mai. Rastrello si sentiva solo lì fuori, avrebbe voluto sapere cosa succedeva a casa di La Vanga, avrebbe voluto un po' di caldo, un saluto, un aggiustatina decorosa.
I due si vedevano due volte l'anno, e per entrambe le volte essi facevano finta di non esistere per l'altro. Credevano che l'altro non li capisse.
Un giorno però accadde qualcosa di nuovo nella vita di entrambe. La Vanga uscì in pieno luglio: il sole era accecante e non capiva cosa stava per succederle. Rastrello la vide uscire, essere scossa vigorosamente, la vide mentre se ne andava, ma non capiva dove. Finalmente La Vanga comparse dalla porta, e gli si adagiò accanto. Rastrello era stupito, sconvolto, non capiva. La Vanga era terrorizzata, dimenava il suo busto di faggio, voleva scappare, ma non aveva scelta, doveva stare lì. Rastrello l'ammirava, era nuova, bellissima. Lei era schifata, e aveva paura, paura di diventare come Rastrello. Cosa che successe, di lì a pochi mesi, quando entrambi si trovarono, legnosi, a dondolarsi sulla rete alla vista di Trattore.
Sia che tu sia nato Rastrello, che nato Vanga, non ti preoccupare, arriverà sempre qualcuno a farti le scarpe.
11.30.2011
io sono meglio di te
11.29.2011
do you remember this?
Allora, gli ho detto, oggi ti dico te lo ricordi questo? allora lui dice, questo cosa? e io gli dico questa giornata di merda. Lui dice no, mi sembra nuova, allora gli ho detto te non hai memoria, sei smemorato, ecco perchè ti sembra nuova.
Se qualche giorno fa me la son presa con le madri che scaricano le colpe i giudizi i falsi moralismi sui figli, oggi, e non solo per oggi, me la prendo con i figli (lo siamo tutti di certo) che scaricano responsabilità proprie sugli altri.
mi dice te l'avevo detto, io penso, un cazzo me l'avevi detto, fare spallucce non è proprio dire niente, manco ridere lo è, non mi hai detto proprio niente.
Pararsi il culo è un'arte. Un'arte che puoi ancheapprendere, ma come ti insegnano a scuola l'artista può affinare la tecnica, ma la genialità non la impari. Quindi di pararsi il culo, caro figlio, tu ne hai fatto una professione.
Anche io, a mio modo, mi diverto a scaricare la colpa sugli altri, un po' da figlia frustrata mi consolo nell'eterna frase bartiana non sono stato io.
Ma una cosa è rovesciare un bicchiere d'acqua per terra e fare finta che la colpa sia del bicchiere scivoloso.
Altra cosa è togliersi di dosso la responsabilità di quello che si è fatto dicendo all'altro, io te l'avevo detto, adesso è tutta colpa tua. O tu non lo sai fare, ti avevo avvisato, non si fa così.
No perchè a me nessuno avverte prima, e avvertire a giochi fatti sappiatelo, non è un cazzo carino.
Allora imparate ad avvertire e a non tagliare la faccia alla gente, che manco questo è carino, ed è anche avere la faccia tosta di farsi una figura di merda premeditata. Ma non vi interessa, I know.
Allora, gli ho detto, ti ricordi quello? E lui, quello chi? Quello lì, quello. Gli dico, non stai mai attento cazzo, perdi il filo del discorso, fanculo. Allora, mi dice, non è che perdo il filo del discorso, è che te non ti spieghi.
No, dico io, non è che non mispiego io, tu non capisci. Allora lui dice, no ho capito invece, perchè ora so chi è quello. Ah sì, gli ho detto, da cosa l'hai capito? Allora, mi dice, sai da cosa? Dal fatto, e ti dico gli offlaga, mi dice, che quello c'ha la faccia come il culo.
Grazie, e arrivederci.
11.28.2011
Ezio e Chiara
le pietre, erano bianche, nerastre ora per via del passaggio sconsiderato delle carrozze, si colarano di rossoviolageo spento, è l'acqua pregna di smog.
una foglia di platano, ricordo dell'autunno, giace inerme sul fondo umido del binario 9.
voci fresche attraversano veloci la carrozza 4, prima classe, declassata a seconda.
Ezio, nel togliersi il cappello con la pelliccetta blu scolorita dagli anni, guarda quei visi, con i loro colori addosso, allontanarsi. Il suo sguardo, più lento di quei corpi, non riesce a sguirli fino alla fine del corridoio.
rassegnato punta verso la sua giacca impegnandosi ad aprire la cerniera che ha perso ogni forza e non gli pone più resistenza.
Al binario 7 il treno è appena partito, mentre tutti i passeggeri sono in attesa all'8, bloccati nei loro sedili, già scelti.
Ezio sente il treno scuoterlo e si sveglia di scatto, si pulisce gli occhiali con il fondo blu del suo maglione di lana, si guarda le mani, ma non le vede, appoggia con lentezza, ma con gesto preciso, i suoi occhiali sul suo naso e la guarda, la vede. Chiara è seduta di fronte a lui, con il suo abito viola di calda lana, le ginocchia incrociate e scoperte, ondeggia il piede sinistro leggendo il suo libro in inglese.
Ezio è smarrito, interroga se stesso su questa giovane donna. Quando è salita? e quando si è seduta? possibile, si ripete sconsolato, che mi sia addormento per così tanto tempo. tra sè e sè fa spallucce e con mano veloce si manda a quel paese, guarda fuori dal inestrino, ma non vede a causa della sporcizia accumulata sul finestrino e sui suoi occhiali.
Chiara era intenta ad armeggiare in modo passivo con i suoi capelli lunghi, mentre leggeva qualche pagina in inglese dal suo libro con la copertina rovesciata, l'angolo destro morso da un roditore, il bordo stropicciato e opaco, come se fosse stato per lungo tempo alla mercè dell'acqua.
Di certo Chiara in quel momento era totalmente assorbita dai discorsi geopolitici del libro, incurante delle condizioni dello stesso. Il vestito aveva maniche larghe che le si arrotolavano fsino al gomito mentre teneva il libro n altro, con la mano destra, le parole sospese davanti ai suoi occhi. Ispirata da quelle pagine prese a dondolare più velocemente il piede e a liscarsi i capelli tra le dita ossute della mano sinistra. Il corpo era stato inghiottito dai sedili verdi di quella carrozza declassata.
A Ezio dondolava la testa a ogni traversina sgangherata su cui il treno poggiava. Gli occhiali gli scendevano un poco sul naso, ma alla traversina sucessiva ecco che si ritrovavano apposto. A lui doveva essere sembrata un'eternità quella passata a dormire, dacché ogni volta che riapriva gli occhi guardava, senza mettere a fuoco, Chiara, con rinnovata curiosità e tornava sconsolato al suo pisolino.
Aveva smesso di piovere, e le gocce, troppo poche, avevano depositato sui finistrini già provati, uno strato di polvere nerastra che andava confondendo con la coltre di smog e nebbia che ricopriva la pianura.
Chiara alzò gli occhi un istante dal libro, si concentro per guardare attraverso il finestrino opaco. Nei suoi occhi si leggea la lettura mentale del suo archivio privato, cercava un segno, uno qualunque, in quel paesaggio, che potess farle capire in che posto si trovasse in quel momento. Al limitare della foschia, l'emersione di una torretta desolata, parve dare un significato quasi sacro, soffiò col naso, quasi a congratularsi con la sua memoria e tornò al libro.
Quando il treno si fermò nè Chiara nè Ezio, ormai addormentato, se ne accorsero, entrambi assorti nei loro mondi privati.
E così quando un nuovo passeggero si sedette di fianco a loro ingombrando anche il quarto posto con il suo bagaglio, i due non si scomposero, lasciando al passeggero il tempo per un pigro sorriso di saluto che presto si trasformò in una smorfia, cogliendolo impreparato all'indifferenza dei suoi compagni di viaggio.
11.25.2011
inzozzati fino alle ascelle
non me ne vogliano i messinesi in queste giornate, ciò che intendo è qualcosa di metaforico, a volte surreale, un modo di vedere i fatti nudi e crudi.
un giorno ci tornai a casa inzozzata fino alle ascelle, erano gli anni migliori, quelli in cui esci in bici, giri in lungo in largo, poi cadi in pozzanghere mezze ghiacciate e usi la caduta come momento di divertimento collettivo.
il problema non è inzozzarsi è tornare a casa e giustificarsi.
è lì che sei nella melma, è quella metaforica il problema.
divertito ti sei divertito e ora? ora come lo spieghi il tuo divertimento? t'aspetta la corte marziale e qualsiasi cosa dirai verrà usata contro di te. il giudizio morale pende sopra la tua testa, non puoi scappare, pieno di merda come sei puoi solo rimanere immobile per non morire soffocato all'istante.
mi è successo più volte che dall'inzozzamento reale si passasse a quello metaforico ben più difficile da gestire.
è ben tollerato sino a 2 anni, ma poi non hai scampo.
voglio scrivere di tutte quelle mamme e a tutte quelle mamma di quanto tremendo sia esser giudicati per una cosa di così poco conto.
care madri, voi non ve ne rendete conto, lo so che vi siete dimenticate di voi stesse millemila anni fa, ma vi prego, riflettete, un attimo solo, spegnete la tv, la lavatrice, il lavaggio dei piatti, smettete di sgridare e gridare e fermatevi. un attimo solo.
care madri, ho 5 anni, non vi capisco. non parlo la vostra lingua. lo so che sembra di sì, ma vi assicuro non è così, se mi sgridate e giudicate il mio comportamento io capisco solo che mi odiate tantissimo, che volete togliermi paffi dalle mani, che odiate anche paffi, sento solo questo STUPIDOSTUPIDOSTUPIDO.
care madri, ho 11 anni, adesso parlo come voi, ma mi diverto in modo diverso, non capisco il vostro universo, sto ancora imparando i segnali e i simboli. il linguaggio non verbale non mi è chiaro, non so ancora decifrarvi completamente. lo so che sembra di sì, ma sto solo facendo le prove di maturità, voglio solo mostarvi che posso essere come voi volete, perchè non mi sento amato altrimenti. se mi sgridate tutto quello che penso è che sono una brutta persona, che sto facendo delle cose bruttissime, che i grandi non farebbero mai e per questo sono cose sbagliate, che non potrò essere come voi, madri, questo capisco e per questo smetto di fare quel che faccio, o mi arrabbio.
care madri, ho 21 anni, la patente e il diploma anche. adesso siamo uguali, rughe a parte. ho imparato che non posso rotolarmi nel fango perchè voi mi odiereste e perchè è una cosa che non si fa. è una cosa sbagliata, le brave persone non lo fanno.
care madri, se è questo lo scopo, brave, ci siete riuscite a far dei vostri figli delle pecore ambulanti. se non lo fosse invece prendete due bei stivali di gomma uscite sulle pozzanghere e rotolatevi, anche se avete più di 21 anni.
11.22.2011
11.21.2011
i gatti pesanti nascosti dietro le porte.
no grazie.
* sì, ok internazionale esce di sabato, LO SO. però ora che arrivo a fine rivista s'è già fatto venerdì, e se devo finirla tutta ci vuole più o meno un mese.
11.15.2011
dell'inutilità e spocchiosità
No, non è il mazzo di chiavi, che ti tocca ravanare in brosa per almeno 50 minuti prima di trovarlo, congelandoti e/o pisciandoti sotto davanti alla porta di casa. E No, non è neppure il portafoglio, che sparisce proprio mentre devi pagare, si crea una fila immane e al negoziante gli si allunga la barba di almeno 3 cm nel mentre. E No, non è neanche quel benedetto libro che dovevi restituire alla biblioteca circa un secolo fa e che dopo l'ennesimo sollecito con tanto di minaccia di morte ti trovi a cercare alle 4 di notte in preda al panico.
Parlo del sito. di quel sito che può dare una svolta alla tua esistenza.
Che cazzata vero? E invece no.
Ci sono informazioni che riguardano il proprio stato che son facili da trovare, abbastanza facili per chi sa usare dignitosamente google, insomma se non le trovi a pagina 1 prima della decima le hai trovate sicuro.
In italiano si sa come cercare (se non lo sapete beh pagatemi che vi insegno, prometto ottimi risultati).
Il problema è quando si deve trovare un'informazione di qualsiasi tipo in una lingua straniera.
e qua i problemi si moltiplicano all'infinito.
prefazione: saper cosa cercare e tradurselo in inglese
1. google.it e google.com capiscono che sono in Italia e quindi questi stronzi mi rimandano a siti web italiani scritti in inglese o siti scritti in inglese inglesi/americani ma inutili.
2. dopo aver scremato trovarsi di fronte all'ennesimo articolo che parla dell'articolo che parla dell'articolo che era citato nell'articolo contenuto tra la raccolta di articoli. Insomma la fonte primaria è inesistente. E voi non state manco cercando un fottutissimo articolo.
3. I page not found si moltiplicano esattamente quando il link, finalmente, sembra quello che fa al caso tuo
4. Ok finchè cerchiamo in inglese, ma come la mettiamo quando dobbiamo trovare cose scritte in altre lingue? non se ne parla di usare translate, vi ritroverete in siti di dubbio gusto in ogni caso.
5. Sono passate 3 ore intanto e la cosa vi serviva per l'altro ieri. State sudando freddo, e caldo, e scaldandovi. Ma niente, sembra che l'argomento che vi serve sia del tutto privo di senso secondo il web. Insomma questa cos ala conoscete solo voi, ve la siete inventata, e google sta ridendo di voi mentre si fuma un toscano anche.
6. Se continuate nella ricerca finirete in qualche pagina di facebook a caso. Una a caso. e nel frattempo le pubblicità vi invaderanno lo schermo e la vita e per scremarle passa un'altra bella oretta.
Qui o si molla o non si demorde ma si cambia strategia.
Nel primo caso: la vostra vita rimarrà sempre quella merdosa di prima e goodbye chance.
Nel secondo caso: la strategia è solo una: CHIEDERE AGLI UMANI.
No ehi nessuna differenza tra google e gli umani, cercheranno entrambri di farvi sembrare dei coglioni, ma vuoi mettere la differenza a sputare in faccia a un individuo in carne e ossa?
11.10.2011
L'articolo di moda più abusato: la Sciarpa.
Ho fatto la mia infanzia in quello stanzone lì, pieno di altri come me, mi sentivo bene tra amici, ci capivamo. Sapete tutti i nostri papà balbettano, ma non è un problema grosso lì, non lo era per me, mia mamma mi teneva al caldo, questo importava.
Ad agosto mi trasferiscono in una stanza più piccola ed umida, siamo tante, sudiamo tantissimo, e per non appiccicarci ci danno dei fogli di plastica e un biglietto e ciao, partiamo tutte in questa stanza piccola. Una puzza tremenda c'era. Mia mamma mi aveva dato il suo pizzo più bello e adesso sentivo che si stava rovinando dentro quella stanzetta angusta con le altre che spingevano e grattavano e graffiavano.
Finalmente a settembre aprono la stanza. Io stavo malissimo. Il mio pizzo era quasi logoro per via dello strofinamento sulla plastica delle altre. Che cosa fastidiosa! Ma finalmente un posto nuovo, mani calde, di nuovo. Le altre vedo che partono di nuovo, nuovi biglietti, io no, finisco per due giorni in una stanza piccola, ma luminosa, poi incontro Lucia, è uguale a mia mamma, ma ha un nome stranissimo. Sinceramente quando parla non la capisco. Però mi tiene calda, per un po' almeno, poi inizia la scuola anche per me. In fila con le altre, era pieno di nuovo, ma la scuola è bella luminosa calda posso essere libera, vicino alle altre, ogni tanto qualcuna ci prende tra le braccia, è bello, è caldo, poi torniamo a stare tra di noi, a studiare.
Un giorno però arriva una, e vedo che ha una mia vecchia compagna di giochi con lei, non ci credo! è una cosa bellissima e come deve star calda lei! Questa, che si chiama Maura, decide che devo seguirla. Che bello insieme alla mia amica d'infanzia, finalmente al caldo! Saluto la scuola e vado via contenta verso la mia nuova vita, vita di libertà, viaggi incontri emozionanti.
Invece no. Sappiatelo, la vita non è proprio così.
Va a finire che, due giorni dopo arriva una nuova, col pizzo integro, il mio s'era rovinato nel viaggio, ve l'avevo detto no? E dopo una settimana un'altra ancora. Finisco in una stanzetta buia di nuovo, insieme ad altre, siamo sporche, alcune hanno un profumo da due soldi nauseante. Spero in una nuova liberazione, come quel giorno che son tornata a casa, spero di vedere il mondo di nuovo, sentire il caldo di Maura e l'arietta fresca di questo ottobre. Ma niente.
Alla fine di ottobre rivedo la luce, per una fortuna o non lo so, quell'altra col pizzo integro la vedo sul divano. Deve essersi fatta male uno dei giorni scorsi, mi sa. Vado con Maura in un posto strano. Una stanza che si muove, mi viene un po' di mal di testa. Maura mi porta dappertutto, vedo un sacco di cose nuove che alla scuola nessuno mi aveva detto che esistessero! Ahhhh la scuola mi manca un po', ma adesso posso vedere cose bellissime e nel frattempo sono sola con Maura e al caldo.
Poi la tragedia. Rimango sola in quella stanza che si muove. Nessuno mi vede, Maura non c'è più. Aiuto.
Quando fa buio si avvicina uno, diversissimo da papà, zitto, ma simile per altri versi, anche lui tutto d'un pezzo, però è un pezzo nero, e puzza tanto! Mi ritrovo vicino ad altri diversi da me, ma chi sono, cosa vogliono? Un succo mi racconta la storia della sua vita. Ma cosa vuoi che mi interessi a me. Io voglio Maura, mi sento sola. Aiuto.
Per fortuna arriva Maria, mi pesca dal mucchio, mi dice "sei bellissima con questo pizzo blu", io quasi piango di gioia. Giuro. E vado via con Maria. Adesso con Maria vedo un sacco di cose, siamo sempre all'aperto.
Questa notte Maria non mi teneva più caldo. Non so cosa sia successo. Spero arrivi presto il sole a scaldarmi di nuovo.
Ma intanto vi dico una cosa, Maura era una stronza.
Grazie agente di polizia per avermi fatto rilasciare questa dichiarazione.
Sciarpa col pizzo blu rovinato.
11.03.2011
i 6 gradi di separazione
10.26.2011
10.25.2011
conformarsi
Il risultato è questo.
Che sia mai, mi dicevo, che sia mai, IO come ALTER. Mai.
A 8 anni questo mai era grosso come una casa. Era la casa intera, i vestiti, il billy a merenda. Chi era alter? Nessuno. Era bello.
A 13 anni alter era già bello che andato, mai conosciuto, mai e mai. Io mai come alter me ne andavo in giro bella e buona e rompipalle.
Poi a 18 anni alter è lì che non lo puoi più scansare e allora Io mai come alter lo guardo disincantata e gli lascio fare ad alter di dire qualcosa. Alter parla, io non lo sapevo mica.
A 25 alter è il solito mai, chi era chi è, presente passato fusi, Io mai come alter, gli lasciavo qualsiasi spazio possibile, all'alter.
Mai come alter. In mezzo ad Alter. Il giorno del mai, che poi è ogni giorno, combatte da anni con il giorno del sempre. Perchè, ecco, se devo trovarci un perchè, poi ti tocca diventare come Alter.
Esempi pratici: all'asilo anche se i tuoi compagni sono moccolosi e irritanti, ti tocca giocare con loro, avere i loro giocattoli, tu non lo sai, lo sa tua madre per te, e allora te ed alter lì nel mucchio siete un po' la stessa cosa, te non è che a 5 anni ci rifletti eh, però prendi atto.
Alle elementari Alter ti gira intorno in ogni modo possibile, fa le capriole anche, e te o sei come alter o allora niente. Ma niente di niente. Allora impari a leggere come alter e a scrivere, cosa ben peggiore come alter, poi addirittura arrivi a usare la stessa calligrafia di alter, ma te non lo sai mica, manco alle elementari rifletti. Alter gioca a calcio e ti tocca giocare a calcio, cioè l'alternativa possibile, a 8 anni, non c'è, non c'è perchè non te la figuri, se proprio devo pensarci, il perchè è questo.
Alle medie alter è quello che ti spacca le palle con i compiti per casa, il compagno di banco fastidioso, le tue amiche con le gonne tutte uguali i capelli tutti uguali che dicono cose ugualissime. Te alle medie cosa vuoi fare? Mai come alter un po' ti ci tocca essere come alter e mai come alle medie ti ricapita di esserne davvero consapevole: o come alter o fuori.
Poi che la consapevolezza ormai è bella e fatta o sei alter, o niente, esattamente come i passaggi di prima, solo che ormai è un dato di fatto esattamente come il verde che finiva prima del marrone all'asilo.
Io mai come Alter, utopia bizzarra, nel conformarsi ti conformi. Ti conformi. TI TOCCA.
perchè o così o è un giro a vuoto intorno alla casa nell'attesa che la minestra abbia cambiato aspetto, cosa impossibile, per altro.
10.20.2011
io sto con i vecchi.
punto.
è un paese che fa la coda in posta il lunedì mattina sopratutto se il lunedì è anche uno dei primi giorni del mese. e sta lì in fila per ore per farsi dare i suoi bei 500 euri in carta, per passarseli tra le mani, metterli nel portafoglio, girare i tacchi e il traportino e andarseli a giocare al lotto.
è un paese che compra le diana blu. poi si siede sul tavolino e gira annoiata le pagine del quotidiano locale che racconta chi ha rubato a casa di maria ieri. fa una partita a carte, poi scatarra e si soffia il naso.
è un paese che gira in bici, a piedi, va a comprare la bombola del gas e se la fa portare a casa perchè le scale non riesce più a farle. è un paese con l'enfisema polmonare.
è un paese che va al parco a giocare a carte, insultare i mocciosi, scaccolarsi e lamentarsi degli immigrati che bevono al parco. solo che lei, il paese, c'è andata con due fiaschi di vino di quelli del contadino, più umano, più vero.
l'italia è un paese per vecchie.
è un paese che fa la spesa di mattina alle 9 perchè poi c'è la coda, stira le tovaglie macchiate indelebilmente, guarda l'italia sul due mentre asciuga i piatti, dorme in poltrona tra le 14 e le 15 e poi a bere il tè da qualche parte. a piedi o in bicicletta.
è l'italia dei vecchi, l'italia che vivo io.
la stessa identica italia.
pensionata, senza pensione
come ogni bel vecchio che si rispetti anche io mi lamento che c'è umido piove fa caldo troppo sole vento schifoso il dottore che non arriva c'è troppa coda torno dopo cosa mangiamo a pranzo sempre le solite cose che due coglioni adesso bevo un caffè ma non forte che non posso più m'ha detto il dottore che è meglio se bevo il deca quello stronzo che arriva tardi.
come ogni bel vecchio.
10.04.2011
Tradotto letteralmente con "la merda succede" rende meglio l'idea. Perchè le cose accadono anche se non lo vuoi. Anche se fortissimamente non lo vuoi. Accadono queste stronze.
Poi è interessante capire come ogniuno se la racconta, la sua merda o quella degli altri. C'è qualcuno che c'ha fatto dei libri, o un libro su tutti. Eppure è una cosa interessante raccontarsi le cose che accadono in modi diversi. Non è solo abilità dello scrittore, è abilità comune ma mal usata.
Ma dato che la merda succede, adesso mi racconterò un po' di merda random, ma in modo che non sembri nè puzzolente nè schifosa. Insomma voglio raccontarmi una storia non giornalistica, senza polemiche, senza moralismi, senza. Ma nudi fatti son subdoli e peggio di quelli conditi, e anche su questo qualcuno c'ha fatto dei libri e preso gran soldi.
Viviana stava ancora aspettando il bus. Si guardava attorno spaventata e cominciava a sentire freddo. Fine settembre, si diceva Viviana, e c'è così caldo qui, ma non di sera, no non di sera. Prima settimana di Università per Viviana. Al nord, cascasse il mondo, Viviana ci doveva andare, perché è al nord che se c'è qualcosa che deve muoversi si muoverà. Così pensava quando tra le città dove studiare in quel nord automa ne scelse una che non le diceva molto. Una cittadina media del nord, una qualsiasi le sarebbe andata bene. Parlando con Antonio e Maddalena era uscito fuori che anche loro, cascasse il mondo, l'avrebbero seguita al nord. Solo che poi Antonio non aveva avuto la finanza sperata e sperare nella borsa di studio era qualcosa che non si poteva permettere. Cascasse il mondo, ad Antonio sarebbe solo successo di far muovere le cose più a sud, dove a settembre fa ancora caldissimo.
E adesso Viviana stava aspettando proprio Maddalena, lì a quella fermata del bus che aveva un nome che lei non conosceva. Aveva anche un po' paura, perchè ormai s'era fatto buio e anche se le strade erano ancora piene di studenti e turisti lei era lì, sola, in un posto centrale ma per lei così nuovo da muoverle dentro solo timori. Il bus non arrivava e neppure Maddalena. La tensione era talmente forte che per smorzarla Viviana si mise a passeggiare su e giù, allontanandosi sempre di un po', fino a scorgere a poche decine di metri un'altra fermata, più illuminata e vicina ad una vetrina di un bar. Che strano, pensava Viviana, eppure qua mi sembrava tutto morto. E invece no, a quell'ora pochi posti rimangono aperti e Viviana spinta dalla paura ne aveva trovato uno. Già avvicinandosi sentiva la paura andarsene insieme a quel freddo che le aveva fatto venire voglia di correre di gioia. Viviana scomposta dalla corsa si ricompone, fa finta di niente guardando gli orari del bus, vuole darsi da bere che così non si accorgerà nessuno del suo cambiamento repentino di fermata. Ahilei nessuno in giro si poteva chiedere nulla, a quell'ora, non di certo gli avventori del bar seduti fuori ed itenti a parlare a voce alta con tono litigioso di argomenti innaffiati dalla birra. Viviana li vede e non ha alcuna voglia di andarcisi a sedere nel mezzo. Ma è incuriosita dalla lingua, è incuriosita dai gesti, dagli sgabelli perfino, a quell'ora e da sola qualsiasi l'avrebbe incuriosita qualsiasi altra cosa, tutto pur di far finta di non essere sola ed in attesa, sola. Mentre con le mani si strofina le braccia per scaldarsi un po', con lo sguardo assorto, arriva un tipo sbilenco su una bici sbilenca. La sensazione a guardarlo è quella che si ha in nave, pensa Viviana, in nave e col mare grosso, ti fa venire nausea. Dove starà andando? Dritto addosso a Viviana. O è quel che pensa lei. Se lo sente arrivare addosso avvolto dall'odore sbilenco tipico di chi è sbilenco. Viviana lo pensa e ha paura. La bici sbilenca svolta all'ultimo e s'infila sin quasi dentro al bar. Gli avventori son talmente intenti a mantenersi dritti sugli sgabelli mentre parlano con le mani e con la bocca impastano parole senza senso che non se ne accorgono. Quasi travolti dalla bici sbilenca, ma niente, è un fatto di talmente poco conto che proseguono. Il gestore del bar, assorto nei suoi pensieri, mentre asciuga con la pezza bisunta tazzine del 1993, si vede recapitare dentro l'immagine sbilenca dell'uomo sbilenco su bici sbilenca, quasi dentro, perchè i freni, meno sbilenchi del resto, hanno funzionato così bene che l'uomo sbilenco ha inchiodato così forte da sbilencarsi tutto e quasi cadere sbilenco, quasi però. Allora il gestore lo guarda, Viviana lo guarda, gli avventori brindano a qualcosa di ignoto che suona come agnamegane, e gestore e Viviana si chiedono cosa faccia l'uomo sbilenco con un guantino rosso da quattordicenne sul polso. L'uomo sbilenco è giovane, ma non così giovane, si dice Viviana, mentre tra un ahhhhhgamanè e un toiiiiiiiiioti, sente il gestore dire qualcosa all'uomo sbilenco. Probabilmente cosa vuole da lui, si dice Viviana, e chissà mai cosa vuole, entrare dentro in bici forse? Ma il gestore scrolla prima la testa, poi sparisce sotto al bancone, poi riemerge, sempre in mano tazzina e pezza, e Viviana si chiede se quello ci viva con la tazzina e la pezza, modello Linus, riemerge con un sacchetto strano, e lo porge all'uomo sbilenco. Viviana è smarrita, non capisce cosa ci faccia l'uomo sbilenco con un sacchetto sbilenco. Non può essere droga sotto banco, al massimo può esserlo in tazza, ma non in sacchetto. L'uomo sbilenco si toglie il guantino e arrotola il sacchetto sul polso, sale in bici tenendo la mano sbilenca vicino alla pancia, quasi cade, ma poi prende il ritmo e se ne va. Viviana è basita, non sa cosa pensare, non sa neppure se continuare ad aspettare il bus con su Maddalena o salvare capra e cavoli andandosene da sola. E tutto viene smorzato dalla scena seguente.
Esterno notte. Un uomo con grembiule, pezza e tazzina, esce dalla porta di servizio del bar, con una tazza in mano piena d'acqua, la svuota in modo brusco e con disapprovazione sul guantino. Torna dentro il bar, e fuoriesce dopo 3 secondi, sottofondo di rumori di tazze e piatti ed acqua. Con una pezza raccoglie il guantino, lo butta nel bidone dietro di sè ed esclama "se non prendo l'epatite a sto giro, non muoio più".
9.12.2011
tutte cose
9.08.2011
la vita del devo
9.07.2011
we're moving! ....again.
9.02.2011
nà brutta roba
8.28.2011
tic tac
8.25.2011
mi fai schifo verbo.
8.23.2011
7.27.2011
circo(n)va(l)l'azione
7.24.2011
Giugno, 1999.
missili sul campo di grano
bombe su quella terra scura
volti straziati dal sole e dalla paura
e ancora
colpi di mitragliatice su corpi già morti
e mani sporche
rovinate dal tempo
rovinate dal lavoro umile
di mani umili
e cuori spenti
e tristi
spente le case
spente le strade
solo un lungo silenzio di morte
odora di triste quest'aria calda
è primavera ma tutto è così secco e arido
tutto morto
e pesante
e triste
e non sai se si meglio piangere
o non pensare a tutti quegli occhi che guardano fissi la maccina nera
stanno ancora giocando con le loro vite
eppure è la terra
il più avanzato dei pianeti
eppur son gli umani
a conoscere i segreti
e se in fondo fossimo degli alieni scesi su questa terra per mettere in atto le guerre più sporche e inutili che si siano mai viste?
eppure è il 2000
il nuovo millennio inizia
e sappiamo solo presentare nuovi mondi di niente
mondi deserti e spent
senza gioia
senza speranza
resta il dolore
e attorno non si vede che un paese vuoto.
7.18.2011
con quali parole
7.15.2011
Old stuff
Non ho più lacrime da piangere
né parole da dire
solo amaro dei ricordi
che non potrò avere.
Vorrei che tutto tacesse
e che si sentisse
solo
un canto
ma non è possibile
Scorderemo un giorno
i dolori di questa triste esistenza
Dimenticheremo la sofferenza
il rancore
la rabbia
E ci ricorderemo
di tutta l'assurda bellezza
della nostra vita
della felicità che abbiamo trovato
delle nostre gioie
ce ne ricorderemo
perchè sono di meno
e per questo più facili da catalogare
e quella felicità che forse è durata un attimo
ci sembrerà la vita intera.
Due minuti
Prendi lei, per esempio. Dico lei perché è lei che conosco e il paragone mi vien facile.
Dico, prendi lei. Lei ti dice che in due minuti è apposto. Cioè si aggiusta i capelli ed esce di casa così. Che lei non ha tempo da perdere.
Allora niente, prendi lei che dice ste cose. Poi si veste di corsa. Dico lei si veste di corsa, lei si prepara in due minuti, dice. Poi prendi me. Così a caso perché anche io mi conosco e il paragone è facile. Io manco in due ore ho i capelli così come lei. Cioè io manco se vado dal parrucchiere. E i vestiti...parliamone. Se io pesco a caso dall'armadio alla meglio trovo un paio di braghe inabbinabili con una maglia e finisco anche per sembrare un semaforo ambulante con una scopa in testa.
Ecco prendi me, io giro con una scopa in testa anche se c'ho messo due ore a farla sembrare un'acconciatura. Poi prendi lei che la scopa ce l'ha in culo da una vita, mica da due minuti.
Sarà sfiga?
Un confronto tra me e mestessa
Ritrovare un oggetto smarrito quando ormai ne hai comprato uno migliore in sostituzione.
No, non è sfiga, è essere smemorati e spendaccioni.
Trovarsi in galleria nel bel mezzo di una discussione al telefono.
No, non è sfiga, è essere idioti a litigar per telefono.
Spendere 6 euro per lavare l'auto quando il giorno seguente piove.
No, non è sfiga, è essere poco accorti e non seguire ilmeteo.it
Mettersi lo smalto e poi rompersi un'unghia.
No, non è sfiga, è non aver tagliato corte le unghie.
Mandare un messaggio con contenuti non adatti alla persona sbagliata.
No, non è sfiga, è disattenzione nel leggere i nomi in rubrica.
Dimenticarsi il bucato in lavatrice. Rifare il bucato. Ridimenticarselo.
No, non è sfiga, è essere coglioni.
Prendere 110, ma senza lode.
No, non è sfiga, è essere l'ultimo della giornata.
Fare una cosa bellissima ma avere le batterie scariche della macchina fotografica per fermare l'attimo.
No, non è sfiga, è un benvenuto nell'era digitale.
Passare 2 ore a pulire il bagno, andare al lavoro, e trovare al ritorno il rotolo della carta igienica sparpagliato sul pavimento e il tappetino inzozzato di piscio.
No, non è sfiga, è solo un gatto rompicoglioni.
Parcheggiare l'auto e dimenticarsi il luogo.
No, non è sfiga, è demenza senile precoce.
Andare al cinema di lunedì convinti di pagare 4 euroe pagarne 6 invece.
No, non è sfiga, si chiama cambio di città.
Cuocere una torta in forno, metterci due ore, far bruciare la parte sotto e lasciarla cruda sopra per doverla portare a un compleanno.
No, non è sfiga, è essere tirchi e imbranati a usare il forno a gas.
Avere solo musica rock quando sei nelle situazioni di socializzazione.
No, non è sfiga, è essere amanti della buona musica.
Dover fare da hostess ad un gala importante e andarci con delle ballerine sdrucite.
No, non è sfiga, è non conoscere il significato della frase “adatto alle occasioni”.
Pagare 35 euro al mese di internet per doverlo poi scroccare dai vicini perchè non va e vedersi fregare anche st'opzione perchè il vicino ha messo la password.
No, non è sfiga, è accortezza per il vicino e stupidità per aver scelto l'operatore telefonico tarocco.
Ma sarà sfiga?
No, non è sfiga, la sfiga non esiste. Sei solo te che non ce la puoi fare.
7.12.2011
una volta
7.07.2011
cose stratosferiche, alle medie
6.27.2011
6.26.2011
Aperitivi
6.25.2011
lei
6.23.2011
altri
mal di casa
5.04.2011
sì, lo immaginavo
4.25.2011
4.21.2011
la gatta sul tetto
4.18.2011
put a shell on
4.15.2011
esercizi
Io sono un
Io sono un articolo
Io sono un articolo indeterminato
Io sono un numero uno
Io sono un, do tre
Io sono un fante, cavallo e re
Io sono una regina o donna
Io sono una foglia
Io sono una mosca
Io sono un fastidio
Io sono un ronzio continuo
Io sono un lamento
Io sono un’ auto usata
Io sono una cima mozzata
Io sono una roba lavata e non stirata
Io sono una mozzarella fuori dal frico
Io sono uno yogurt acidino
Io sono un riflesso
Io sono un reflusso
Io sono un fruscio
Io sono un addio