12.22.2011

quando il gatto scappa

ci sono giorni bui, in cui senti di doverti mettere addosso i panni giusti degli altri, in cui devi uscire, e il farti coinvolgere è facile, minimo, quasi piacevole.
quelli sono i veri giorni bui.
chi sei? chi sono? ti chiedi, dentro a vestiti sbagliati, scarpe spaiate, calzini di un colore improbabile. a volte ti viene richiesto di metterti maglie rosa, e non le vuoi mettere, ma è un dovere sociale.
è un giorno buio, quando devi stringere i denti e andare avanti, volendo aver addosso solo unb urqua e dovendo dimostrare che se sei qualcuno devi fare qualcuno.

o sei altro. artista? artista...ma cosa vuole dire? cosa vuol dire che sei strano? cosa vuol dire?

ridete. nei giorni bui, ridete. a squarciagola.

vi giuro, mi viene da prendervi a pugni in bocca. ma poi so che dentro quei giubbini lì giro culo qualcuno c'è.
il problema è che te non lo sai che ci sei. è un giorno buio anche per te.

e danziamo, facendo finta di niente, facendo finta che vadabene e vadamale, che ciao come va, che tutto bene grazie e auguri se non ci vediamo.

è quasi natale. lo sento brutto. ci scontriamo. poi no, è solo paura.

vorrei uscire con le scarpe rosse quando fuori c'è neve e non sentire il peso sulle spalle che mi fa sprofondare, il peso di non aver addosso il cappotto marrone.
ma è un giorno buio, metterò i moonboot, farò una piroetta e sorriderò.

lo so. sì lo so e lo sai, ma saperlo a che serve? allora ci metteremo le infradito il 3 di gennaio con -2 gradi solo per sentire che effetto fa il ghiaccio sulle unghie tagliate perchè non è più estate e non ti stanno nelle scarpe.
e aspettando l'atobus che non passa scriveremo t'amo sulla ghiaia e il vento e la grandine e la neve e la pioggia ce lo porteranno via.
è un giorno buio, andiamo a berci un caffè al bar, a spazzolarci i capelli in bagno, a soffiarci il naso e non accarezzare i gatti degli sconosciuti. chiudiamo il cancello. i balconi e facciamo finta, che vada tuttobenetuttomale.

12.20.2011

una banana al giorno

lo ammetto. ti ho tremendamente sottovalutato.
ma ecco come le cose, sono andate, in prospettiva.

avere ventanni. e vivere alla cazzo. o almeno credere di farlo.
prendere lo stesso mezzo, tutti i giorni, per fare, almeno per parte del giorno, la stessa cosa.

sali, scendi, salgo, scendi.
ci vediamo, senza vederci. poi passi, poi via.

incontrarsi senza conoscersi, valutarsi, sotto o spravvalutarsi? annoiarsi a morte.
o no, passare dei momenti, a caso, insieme, per caso, uniti dal tram tram della vita.

siamo qui, sono lì, sei lì per caso.
fotoricordo in bianco e nero sbiadite dal tempo, le faccio scorrere veloci.

lo ammetto. ti avevo sottovalutato.
te e quel tuo fottuto modo odioso di parlare.

in prospettiva, se l'avessi capito, avrei evitato di crederti tedioso, cosa che per altro continui ad essere.
rimane comunque il fatto che ti avevo sottovalutato.

mi mangio una banana, per farmene una ragione.

12.14.2011

minaccie o minacce. micce o miccie.

va bene dire cazzate a tutte le ore. ha un valore terapeutico fortissimo.
anche dire le parolacce. questa pratica ho scoperto essere diffusa e da svariati anni.
entrambe le pratiche hanno una funzione taumaturgica: di colpo ci si sente vivi e liberati. ma l'effetto dura poco, il tempo di aver finito di dire merda, di dire una barzelletta e alè siamo di nuovo a crucciarsi.
allora più cazzate, più parolacce, più libertà. vero. in parte però.

in alcuni momenti si ha il bisogno di concentrarsi un po' su quelle parole dette per liberazione e ragionarci su. riflettere sul loro vero significato, non su quello che non gli attribuiamo, o sul significato riportato a carattere 3 sul devoto oli. il vero significato di quelle parole non sta in una o nell'altra lettera, ci sta attorno.

personalmente mi sento circondata da cazzate/parolacce. ma queste non sono usate con la funzione, consapevole, di cui qualche riga su. no, queste sono usate nella convinzione che il significato sia altro, che abbia quasi un valore nobiliare, che neppure il devoto oli basti a contenerne l'essenza.

credo di non essere chiara, in questo momento, e con una cazzata direi, per forza, non mi chiamo mica così.
però ragioniamoci un attimo: questa cazzata, divertente magari la prima volta che la senti, fa sorridere me e anche un po' te che stai leggendo fin qua, sempre che non ti si siano "fiapà e bae", nel qual caso, caro avventore, è il caso che tu vada a comprare un compressorino portatile.
per gli altri invece, questa cazzata, significa altro. insomma è una stronzata consapevole.
altra storia è, completamente altra, quella che spinge a credere che il significato di ciò che diciamo sia scritto lì sul devoto. lo diamo per scontato ogni volta che pronunciamo la parola ciao, ad esempio. nel devoto magari l'etimologia c'è anche, ma chi già non la sa di suo, si è chiesto cosa vorrà davvero dire? è un saluto, certo, ma è anche altro. era altro, ma esserselo scordato non ci giustifica.

allo stesso modo, quando si usano le cazzate/parolacce, senza consapevolezza, si cade in quel tranello lì. ci si sente giustificati. e allora tra sè e sè è una bella consolazione, giustificarsi, ma quando si tratta dell'altro, è meglio almeno aprire il devoto, sbirciare, e poi continuare.

il bisogno quindi di concentrarsi un po' non è cosa per tutti eh. non è l'esercizio più facile del mondo o il più semplice. non è che ragionandoci un po' si possa evitare di incorrere nella tremenda giustificazione, questo no, ma, e credo che sia tutto qui il valore, si può cercare di evitare di far incorrere l'altro nello giustificarvi.

amico fiapà, con te non ho speranze, ma con gli altri sì, e magari anche a loro non è che sia molto chiaro.
allora ve lo spiego così: se dici pò e te lo faccio notare e credi di essere nel giusto e vieni insultato. ecco a quel punto minimo un giro sul devoto (o google tipo) te lo devi fare. e no, non per acculturarti, che tanto ormai non c'è speranza, semplicemente per riflettere giusto quei tre secondi prima di minacciarmi. ecco.

12.12.2011

l'uomo è un animale (?)


partiamo da un presupposto: l'uomo è un animale.

se qualcuno vuole contraddirmi su questo faccia pure, ma l'uomo è un animale secondo la definizione standard che divide il mondo nei tre regni classici. (sì, i funghi metteteli dove vi pare però)

non c'è un se lo è, lo è.
allora dato che lo è:
lasciate che l'uomo viva sopraffatto dalle leggi di natura: se il cucciolo che partorisce non è adatto a vivere, lasciate che lo lasci morire, abbandonato da qualche parte, o che lo uccida.
se il suo simile gli ruba cibo, lasciate che lo uccida.
se in due si è pochi, ma in trenta si è troppi, lasciate che i più deboli muoiano.
se per portare avanti la specie c'è bisogno di accoppiamenti multipli e incessanti tra l'epoca della pubertà e quella della menopausa lasciate che avvengano

come dite? l'uomo ha fatto delle regole sin dall'antichità per ovviare alla natura?
dite?

no, perchè a me è sembrato che a Torino, tipo ieri, ci fossero solo animali.

io l'uomo, quello lì che ha fatto delle leggi, che vive nella civiltà come la chiamate voi, io, mica l'ho visto.

12.09.2011

*****...wait for it...*****

scegli una carta, mi intima, una sola però, scegliene una, dai... mi chiedo perché, che cosa stupida, mi dico, poi pesco dal mazzo. è nera, dice, è fiori, è 4 di fiori, vero? io dico sì. e rimetto giù la carta. poi sfodero il mio savoir faire, che non è un saperci fare, è conoscere le regole del gioco, e la regola dice, dire ad alta voce con tono entusiasto, ma come hai fatto? e intanto sbatti le ciglia e schiocchi le mani, va, già che ci siamo, e aspetti la risposta, che è sempre e solo, ehhhhhhh non te lo posso dire, magia.

sta tutto lì. il savoir faire.
allora stavo pensando se sta tutto lì, basta impararlo.
ma poi mi perdo un po' dietro questi pensieri e finisce che mi chiedo "come mi è venuta st'idea?" (o quell'altra, insomma non importa l'idea, ma il come). come quindi?

ecco su questo processo mentale, quello che non è savoir faire, avrei qualcosa da dire. chiamatemi allucinata.
un'idea non può dipendere dal savoir faire, non completamente almeno. ci deve, e son sicura ci sia, dell'altro.

se è magia? no, ma quale magia. stavo pensando a una pubblicità che ho visto di recente, legata a questa cosa, una pubblicità di un alcolico: il video è diviso a metà: stesso personaggio che fa le stesse cose, ma nel lato sx dello schermo risulta uno sfigato, in quello dx invece uno cool, per usare un'inutile inglesismo.
sul savoir faire ci siamo: entrambe, che poi son lo stesso, sanno "come si fa", però i risultati son diversissimi.
cosa cambia, allora, tra i due?
chissà cosa voleva dimostrare il pubblicitario, non lo so. ma io ci vedo solo questo gap enorme, e io mi chiedo solo, come lo colmi quel gap?

sta tutto lì. il colmare il gap. che non è possedere il savoir faire.il know how. è qualcosa d'altro.

ma cosa?
e torno al come: come mi viene un'idea? possediamo più o meno tutti lo stesso bagaglio di savoire faire. quello di base è lo stesso, tutti sappiamo come rispondere al mago. do per assodato questo.
ma com'è che ti viene naturale o ci devi pensare? com'è che le azioni, le reazioni, e tutto questo bagaglio, si esprime in modo così diverso da individuo ad individuo?
come a me viene un'idea e come a te viene un'idea?
"come" uno è sfigato e "come" uno non lo è.

non ho una risposta. e non so se la troverò.
ma mi son fatta delle domande.
ad una di queste ho deciso di rispondermi con 203 (sì, 42 era scontato.).

ho così colmato un personale gap.


12.07.2011

questa sera...

sono qui:
http://www.facebook.com/events/309706045709196/
come performer eh mica cazzi.

12.05.2011

la vanga e il rastrello

storia malata di un inutile amore/odio tra la vanga e il rastrello.

C'era una volta una vanga, non una qualunque, era una vanga con un certo prestigio.
La Vanga veniva riposta ogni notte nel ricovero degli attrezzi 6x4 metri. Legno massiccio. La Vanga aveva un manico di faggio ed era di acciaio inossidabile. Forte e potente, in un secondo spezzava un ramo secco. La Vanga non temeva il caldo e il freddo e poi tanto usciva allo scoperto due tre volte l'anno, in primavera per un nuovo raccolto da crescere, a fine estate per far riposare la terra. La Vanga era nuova, scintillante, priva di nodi, bellissima.
Rastrello viveva desolato adagiato alla rete metallica ormai consunta, stropicciata dal tempo, così arrugginita che solo a vederla ti veniva il tetano. Lui stava lì, giorno, notte, pioggia e vento. Gli si era storto il manico l'inverno prima, e ora, dopo l'ultima ghiacciata, gli si era spezzato circa a metà. qualcuno gliel'aveva ricucito con chiodi arrugginiti e ora, storto com'era, poteva esser buono solo per raccogliere i fiori. Le sue dita, una volta blu, tendevano al marrone scuro. Era ferro ricoperto, ferro che fu, ora solo ruggine. Aveva anche perso qualche dita, qualche altra era spezzata. Ma lui stava lì. Ogni stagione era buona per lui: togliere un po' di neve d'inverno, raccogliere l'erba tagliata, l'erba che non serve più, le foglie cadute in guerra, le lacrime degli alberi deturpate, i cachi sciolti insieme ai fichi. Rastrello era sempre lì, a fare il suo lavoro, certo con dignità, ma con fatica, sempre più fatica.
La Vanga lo guardava quelle 2 volte l'anno che usciva, lo guardava e lo compativa, in realtà non lo capiva, ma in fondo, era un po' triste per quel suo collo sempre più rotto, per le sue dita sempre più mal ridotte. Un po' si dispiaceva che Rastrello non vivesse al caldo, un po', invece, ne era quasi contenta, forse le avrebbe fatto un po' schifo trovarselo in casa.
Rastrello la guardava, dondolandosi sulla rete, sperando di essere notato, si dondolava quasi sino a cadere. La guardava sfilare davanti ai suoi occhi. Non era amore il suo, era invidia, più che altro, non la capiva. Usciva due volte l'anno e non lo filava mai, non gli rivolgeva lo sguardo mai. Rastrello si sentiva solo lì fuori, avrebbe voluto sapere cosa succedeva a casa di La Vanga, avrebbe voluto un po' di caldo, un saluto, un aggiustatina decorosa.
I due si vedevano due volte l'anno, e per entrambe le volte essi facevano finta di non esistere per l'altro. Credevano che l'altro non li capisse.

Un giorno però accadde qualcosa di nuovo nella vita di entrambe. La Vanga uscì in pieno luglio: il sole era accecante e non capiva cosa stava per succederle. Rastrello la vide uscire, essere scossa vigorosamente, la vide mentre se ne andava, ma non capiva dove. Finalmente La Vanga comparse dalla porta, e gli si adagiò accanto. Rastrello era stupito, sconvolto, non capiva. La Vanga era terrorizzata, dimenava il suo busto di faggio, voleva scappare, ma non aveva scelta, doveva stare lì. Rastrello l'ammirava, era nuova, bellissima. Lei era schifata, e aveva paura, paura di diventare come Rastrello. Cosa che successe, di lì a pochi mesi, quando entrambi si trovarono, legnosi, a dondolarsi sulla rete alla vista di Trattore.

Sia che tu sia nato Rastrello, che nato Vanga, non ti preoccupare, arriverà sempre qualcuno a farti le scarpe.

11.30.2011

io sono meglio di te

in attesa dell'ispirazione ho trovato una foto sul web che diceva "ogni volta che guardi uomini e donne un libro si suicida".
certo ad un primo livello di comprensione la frase potrebbe essere ribaltata dicendo "leggi un libro, non guardare la tv spazzatura". che ok, può andare anche, ma non ne sono per nulla convinta.

chi sei tu per dire che un libro, uno qualunque, è meglio della tv spazzatura? 
mi pare che in realtà una frase del genere mi stia sbattendo in faccia un'altra cosa e cioè che tu che leggi un libro sei meglio di me che guardo certi programmi.

va bene, non è il mio caso. in realtà non guardo uomini e donne e non potrebbe fregarmene di meno di cosa pensa l'autore della frase a riguardo. ma, c'è un ma, mi da tremendamente fastidio quando qualcuno ti sputa in faccia un io-sono-meglio-di-te, senza rispetto e senza dignità.

"dovresti buttar giù qualche chilo" la frase potrebbe continuare con "perchè io che sono magro, vedi, sono meglio di te"
"io non mangio carne" ..."perchè vedi io sono vegetariano, sono meglio di te"
"quello non va neppure in chiesa a natale"* e dato che neppure te ci vai "io ci vado e quindi sono meglio di te, eretico"
"oddio cosa fa quella balena con le scarpe col tacco"... "io sono secca me le posso permettere"... "io sono meglio di te"
"alla loro età io lavoravo già" (tu hai la mia età, stronza) "io sono meglio di te, perchè io lavoro"
"non capisco quelli che hanno figli e convivono" o "non capisco quelli che si sposano senza fare figli" ..."qualunque sia la tua condizione, io sono meglio di te"
"ma dai? guardi beautiful/qualsiasialtroprogrammarandom?!" ..."oddio poverina, io sono meglio di te"
"ma che schifo la faccia di quello!" (herpes, acne, dermatite...qualsiasi cosa) "io sono sano, sono bello, sono meglio di te"
"hai la ricrescita" "sfigato, sono meglio di te"

il punto è che sarai meglio di me, ma non mi rispetti per nulla. e questo non è assolutamente essere meglio, è solo essere megliamente (uhm..) teste di cazzo. e allora se ti interessa essere una testa di cazzo meglio, vai, continua pure.











*questa, per me, è la più tremenda: nelle altre metti che un filino ci sia l'idea salutista, ma questa proprio è vomitevole

11.29.2011

do you remember this?

Hai presente, gli ho detto, quando trovi per caso qualcosa di vecchio, vecchissimo, e poi dici, gli ho detto, dici te lo ricordi questo? e allora l'altro ti dice ah sì, ah cazzo, ma dai ecco dov'era, ma sì, ma certo.

Allora, gli ho detto, oggi ti dico te lo ricordi questo? allora lui dice, questo cosa? e io gli dico questa giornata di merda. Lui dice no, mi sembra nuova, allora gli ho detto te non hai memoria, sei smemorato, ecco perchè ti sembra nuova.


Se qualche giorno fa me la son presa con le madri che scaricano le colpe i giudizi i falsi moralismi sui figli, oggi, e non solo per oggi, me la prendo con i figli (lo siamo tutti di certo) che scaricano responsabilità proprie sugli altri.

mi dice te l'avevo detto, io penso, un cazzo me l'avevi detto, fare spallucce non è proprio dire niente, manco ridere lo è, non mi hai detto proprio niente.

Pararsi il culo è un'arte. Un'arte che puoi ancheapprendere, ma come ti insegnano a scuola l'artista può affinare la tecnica, ma la genialità non la impari. Quindi di pararsi il culo, caro figlio, tu ne hai fatto una professione.

Anche io, a mio modo, mi diverto a scaricare la colpa sugli altri, un po' da figlia frustrata mi consolo nell'eterna frase bartiana non sono stato io.

Ma una cosa è rovesciare un bicchiere d'acqua per terra e fare finta che la colpa sia del bicchiere scivoloso.
Altra cosa è togliersi di dosso la responsabilità di quello che si è fatto dicendo all'altro, io te l'avevo detto, adesso è tutta colpa tua. O tu non lo sai fare, ti avevo avvisato, non si fa così.

No perchè a me nessuno avverte prima, e avvertire a giochi fatti sappiatelo, non è un cazzo carino.
Allora imparate ad avvertire e a non tagliare la faccia alla gente, che manco questo è carino, ed è anche avere la faccia tosta di farsi una figura di merda premeditata. Ma non vi interessa, I know.

Allora, gli ho detto, ti ricordi quello? E lui, quello chi? Quello lì, quello. Gli dico, non stai mai attento cazzo, perdi il filo del discorso, fanculo. Allora, mi dice, non è che perdo il filo del discorso, è che te non ti spieghi.
No, dico io, non è che non mispiego io, tu non capisci. Allora lui dice, no ho capito invece, perchè ora so chi è quello. Ah sì, gli ho detto, da cosa l'hai capito? Allora, mi dice, sai da cosa? Dal fatto, e ti dico gli offlaga, mi dice, che quello c'ha la faccia come il culo.

Grazie, e arrivederci.

11.28.2011

Ezio e Chiara

piove sul binario 9. vuoto.
le pietre, erano bianche, nerastre ora per via del passaggio sconsiderato delle carrozze, si colarano di rossoviolageo spento, è l'acqua pregna di smog.
una foglia di platano, ricordo dell'autunno, giace inerme sul fondo umido del binario 9.
voci fresche attraversano veloci la carrozza 4, prima classe, declassata a seconda.
Ezio, nel togliersi il cappello con la pelliccetta blu scolorita dagli anni, guarda quei visi, con i loro colori addosso, allontanarsi. Il suo sguardo, più lento di quei corpi, non riesce a sguirli fino alla fine del corridoio.
rassegnato punta verso la sua giacca impegnandosi ad aprire la cerniera che ha perso ogni forza e non gli pone più resistenza.
Al binario 7 il treno è appena partito, mentre tutti i passeggeri sono in attesa all'8, bloccati nei loro sedili, già scelti.
Ezio sente il treno scuoterlo e si sveglia di scatto, si pulisce gli occhiali con il fondo blu del suo maglione di lana, si guarda le mani, ma non le vede, appoggia con lentezza, ma con gesto preciso, i suoi occhiali sul suo naso e la guarda, la vede. Chiara è seduta di fronte a lui, con il suo abito viola di calda lana, le ginocchia incrociate e scoperte, ondeggia il piede sinistro leggendo il suo libro in inglese.
Ezio è smarrito, interroga se stesso su questa giovane donna. Quando è salita? e quando si è seduta? possibile, si ripete sconsolato, che mi sia addormento per così tanto tempo. tra sè e sè fa spallucce e con mano veloce si manda a quel paese, guarda fuori dal inestrino, ma non vede a causa della sporcizia accumulata sul finestrino e sui suoi occhiali.
Chiara era intenta ad armeggiare in modo passivo con i suoi capelli lunghi, mentre leggeva qualche pagina in inglese dal suo libro con la copertina rovesciata, l'angolo destro morso da un roditore, il bordo stropicciato e opaco, come se fosse stato per lungo tempo alla mercè dell'acqua.
Di certo Chiara in quel momento era totalmente assorbita dai discorsi geopolitici del  libro, incurante delle condizioni dello stesso. Il vestito aveva maniche larghe che le si arrotolavano fsino al gomito mentre teneva il libro n altro, con la mano destra, le parole sospese davanti ai suoi occhi. Ispirata da quelle pagine prese a dondolare più velocemente il piede e a liscarsi i capelli tra le dita ossute della mano sinistra. Il corpo era stato inghiottito dai sedili verdi di quella carrozza declassata.
A Ezio dondolava la testa a ogni traversina sgangherata su cui il treno poggiava. Gli occhiali gli scendevano un poco sul naso, ma alla traversina sucessiva ecco che si ritrovavano apposto. A lui doveva essere sembrata un'eternità quella passata a dormire, dacché ogni volta che riapriva gli occhi guardava, senza mettere a fuoco, Chiara, con rinnovata curiosità e tornava sconsolato al suo pisolino.
Aveva smesso di piovere, e le gocce, troppo poche, avevano depositato sui finistrini già provati, uno strato di polvere nerastra che andava confondendo con la coltre di smog e nebbia che ricopriva la pianura.
Chiara alzò gli occhi un istante dal libro, si concentro per guardare attraverso il finestrino opaco. Nei suoi occhi si leggea la lettura mentale del suo archivio privato, cercava un segno, uno qualunque, in quel paesaggio, che potess farle capire in che posto si trovasse in quel momento. Al limitare della foschia, l'emersione di una torretta desolata, parve dare un significato quasi sacro, soffiò col naso, quasi a congratularsi con la sua memoria e tornò al libro.
Quando il treno si fermò nè Chiara nè Ezio, ormai addormentato, se ne accorsero, entrambi assorti nei loro mondi privati.
E così quando un nuovo passeggero si sedette di fianco a loro ingombrando anche il quarto posto con il suo bagaglio, i due non si scomposero, lasciando al passeggero il tempo per un pigro sorriso di saluto che presto si trasformò in una smorfia, cogliendolo impreparato all'indifferenza dei suoi compagni di viaggio.

adesso

strippo.


11.25.2011

inzozzati fino alle ascelle

della melma son sicura di aver parlato, di essere immersi sino al collo nel fango.
non me ne vogliano i messinesi in queste giornate, ciò che intendo è qualcosa di metaforico, a volte surreale, un modo di vedere i fatti nudi e crudi.

un giorno ci tornai a casa inzozzata fino alle ascelle, erano gli anni migliori, quelli in cui esci in bici, giri in lungo in largo, poi cadi in pozzanghere mezze ghiacciate e usi la caduta come momento di divertimento collettivo.
il problema non è inzozzarsi è tornare a casa e giustificarsi.
è lì che sei nella melma, è quella metaforica il problema.
divertito ti sei divertito e ora? ora come lo spieghi il tuo divertimento? t'aspetta la corte marziale e qualsiasi cosa dirai verrà usata contro di te. il giudizio morale pende sopra la tua testa, non puoi scappare, pieno di merda come sei puoi solo rimanere immobile per non morire soffocato all'istante.
mi è successo più volte che dall'inzozzamento reale si passasse a quello metaforico ben più difficile da gestire.
è ben tollerato sino a 2 anni, ma poi non hai scampo.

voglio scrivere di tutte quelle mamme e a tutte quelle mamma di quanto tremendo sia esser giudicati per una cosa di così poco conto.
care madri, voi non ve ne rendete conto, lo so che vi siete dimenticate di voi stesse millemila anni fa, ma vi prego, riflettete, un attimo solo, spegnete la tv, la lavatrice, il lavaggio dei piatti, smettete di sgridare e gridare e fermatevi. un attimo solo.

care madri, ho 5 anni, non vi capisco. non parlo la vostra lingua. lo so che sembra di sì, ma vi assicuro non è così, se mi sgridate e giudicate il mio comportamento io capisco solo che mi odiate tantissimo, che volete togliermi paffi dalle mani, che odiate anche paffi, sento solo questo STUPIDOSTUPIDOSTUPIDO.

care madri, ho 11 anni, adesso parlo come voi, ma mi diverto in modo diverso, non capisco il vostro universo, sto ancora imparando i segnali e i simboli. il linguaggio non verbale non mi è chiaro, non so ancora decifrarvi completamente. lo so che sembra di sì, ma sto solo facendo le prove di maturità, voglio solo mostarvi che posso essere come voi volete, perchè non mi sento amato altrimenti. se mi sgridate tutto quello che penso è che sono una brutta persona, che sto facendo delle cose bruttissime, che i grandi non farebbero mai e per questo sono cose sbagliate, che non potrò essere come voi, madri, questo capisco e per questo smetto di fare quel che faccio, o mi arrabbio.

care madri, ho 21 anni, la patente e il diploma anche. adesso siamo uguali, rughe a parte. ho imparato che non posso rotolarmi nel fango perchè voi mi odiereste e perchè è una cosa che non si fa. è una cosa sbagliata, le brave persone non lo fanno.

care madri, se è questo lo scopo, brave, ci siete riuscite a far dei vostri figli delle pecore ambulanti. se non lo fosse invece prendete due bei stivali di gomma uscite sulle pozzanghere e rotolatevi, anche se avete più di 21 anni.


11.22.2011

fare il passo

più lungo della gamba.
mi viene benissimo considerando la mia scarsissima altezza.

11.21.2011

i gatti pesanti nascosti dietro le porte.

vorrei ma non posso.
no grazie.

oggi leggevo un inutile articolo su internazionale*. ero in bagno, quindi l'inutilità ci stava tutta. ma perchè inutile? l'articolo era Perché scrivo di Hanif Kureishi. due pagine forse tre fitte in cui lo scrittore spiega perché scrive o meglio le sue "avventure" di scrittura. lo spiega ai lettori.
m'è venuto da dire qualcosa a riguardo. perché m'ha fatto strano che questo spieghi perché scrive ai lettori. i lettori scrivono? sì? no? non lo so. io non ho manco finito di leggere l'articolo, non mi ritengo una lettrice nè di lui, nè in generale. torno a chiedermi se il lettore scrive, e se scrive gli interessa sapere di cosa pensa del perchè scrive questo? ma una cosa per volta.

il lettore.
il lettore è quell'essere infimo come l'ascoltatore di musica.
è un paragone banale stupido ma mi vien bene così.
l'ascoltatore di musica di un certo tipo è uno scassamaroni. con musica di un certo tipo intendo quella musica che passa di rado per radio. quindi è l'ascoltatore insodisfatto che scassa i maroni. l'ascoltatore che è attento che critica che ti spiega (l'ascoltatore attento fa sopratutto questo TI SPIEGA a te, stupido profano, perchè sei una testa di minchia.) l'ascoltatore davvero attento, nota importante, generalmente non suona. perchè se suonasse si menerebbe pippe sullo strumento prescelto invece di scassare i maroni (leggisi come fare le pippe a te.)
il lettore è anche lui un essere infimo come l'ascoltatore attento. ti scassa i maroni in altro modo. si fa figo, gli fa figo, che lui legge cose serie oppure che lui legge harry potter, il signore degli anelli, la saga di tualait invece di vederla al cinema (SIGH!). e te, di fatto, stupido profano, non ne capisci nulla. il lettore del tipo scassa maroni legge i motivi per cui scrivono gli scrittori perchè come il suo amico ascoltatore non suona il lettore non scrive. 

lo scrittore
al pari del musicista che si fa pippe sullo strumento, lo scrittore si fa pippe con le sue pippe mentali. io lettrice disattenta non mi interesso molto alle pippe sulle pippe. perché scrivi? non lo so, non mi interessa, non mi interessano i consigli per scrivere o non scrivere (che poi sto leggendo, dammi un consiglio su come leggere i tuoi libri invece che dirmi su come perché e cosa è scrivere per te). poi tu scrittore chi accidenti sei?
c'è quello che scrive libri da ombrellone, che ne so grisham ma anche king per dire, quello che scrive libri idioti per donne sole e sfigate (una su tutte, kinsella) e poi un cumulo di gente che scrive cagate immani e fa milioni (i miei amici harry potter e tualait di prima). opinione mia eh. comunque questi fanno i soldi, quelli veri, quelli che se ci paghi il caffè non chiamano i carabinieri per arrestarti, per intenderci.
questi qui, le pippe non se le fanno mica o hanno gli scrittori fantasmi (e fabio volo ringrazia) o semplicemente scrivere è un mestiere random e quindi via.
poi gli altri, quelli che non è un mestiere, son anche peggio. sono il rovescio della medaglia di quelli che si fanno fighi leggendo, loro si fanno fighi scrivendo.

ho pescato nel mucchio delle possibilità. ma perché non contemplare anche questi due tipi visto che esistono? 
dal mio piccolo buco di culo non mi sento di sentenziare (l'ho fatto? ops.) mi sta solo tremendamente sulle palle dover sorbirmi questo branco di pallosi ognidì. perchè diciamocelo che siano lettori che siano scrittori spacca maroni entrambi sono.
io non sto nel mezzo, non sto proprio. btw smettetela di prendermi poco sul serio solo perché vi fa figo. denkiu.

(sfumando... non son degno di te...)






* sì, ok internazionale esce di sabato, LO SO. però ora che arrivo a fine rivista s'è già fatto venerdì, e se devo finirla tutta ci vuole più o meno un mese.

11.15.2011

dell'inutilità e spocchiosità

quando ti serve, dannatamente, non lo trovi.
No, non è il mazzo di chiavi, che ti tocca ravanare in brosa per almeno 50 minuti prima di trovarlo, congelandoti e/o pisciandoti sotto davanti alla porta di casa. E No, non è neppure il portafoglio, che sparisce proprio mentre devi pagare, si crea una fila immane e al negoziante gli si allunga la barba di almeno 3 cm nel mentre. E No, non è neanche quel benedetto libro che dovevi restituire alla biblioteca circa un secolo fa e che dopo l'ennesimo sollecito con tanto di minaccia di morte ti trovi a cercare alle 4 di notte in preda al panico.
Parlo del sito. di quel sito che può dare una svolta alla tua esistenza.
Che cazzata vero? E invece no.
Ci sono informazioni che riguardano il proprio stato che son facili da trovare, abbastanza facili per chi sa usare dignitosamente google, insomma se non le trovi a pagina 1 prima della decima le hai trovate sicuro.
In italiano si sa come cercare (se non lo sapete beh pagatemi che vi insegno, prometto ottimi risultati).
Il problema è quando si deve trovare un'informazione di qualsiasi tipo in una lingua straniera.
e qua i problemi si moltiplicano all'infinito.
prefazione: saper cosa cercare e tradurselo in inglese
1. google.it e google.com capiscono che sono in Italia e quindi questi stronzi mi rimandano a siti web italiani scritti in inglese o siti scritti in inglese inglesi/americani ma inutili.
2. dopo aver scremato trovarsi di fronte all'ennesimo articolo che parla dell'articolo che parla dell'articolo che era citato nell'articolo contenuto tra la raccolta di articoli. Insomma la fonte primaria è inesistente. E voi non state manco cercando un fottutissimo articolo.
3. I page not found si moltiplicano esattamente quando il link, finalmente, sembra quello che fa al caso tuo
4. Ok finchè cerchiamo in inglese, ma come la mettiamo quando dobbiamo trovare cose scritte in altre lingue? non se ne parla di usare translate, vi ritroverete in siti di dubbio gusto in ogni caso.
5. Sono passate 3 ore intanto e la cosa vi serviva per l'altro ieri. State sudando freddo, e caldo, e scaldandovi. Ma niente, sembra che l'argomento che vi serve sia del tutto privo di senso secondo il web. Insomma questa cos ala conoscete solo voi, ve la siete inventata, e google sta ridendo di voi mentre si fuma un toscano anche.
6. Se continuate nella ricerca finirete in qualche pagina di facebook a caso. Una a caso. e nel frattempo le pubblicità vi invaderanno lo schermo e la vita e per scremarle passa un'altra bella oretta.

Qui o si molla o non si demorde ma si cambia strategia.
Nel primo caso: la vostra vita rimarrà sempre quella merdosa di prima e goodbye chance.
Nel secondo caso: la strategia è solo una: CHIEDERE AGLI UMANI.
No ehi nessuna differenza tra google e gli umani, cercheranno entrambri di farvi sembrare dei coglioni, ma vuoi mettere la differenza a sputare in faccia a un individuo in carne e ossa?

11.10.2011

L'articolo di moda più abusato: la Sciarpa.

Ciao, mi chiamo Fiorella. Sono nata a luglio 2011, era il 16, faceva molto caldo e mia mamma sudava tantissimo. Mia mamma è cinese di un villaggio vicino al confine con il Vietnam, vicino a Mong Cai. Abitava sul mare quando stava in Cina, mia mamma, adesso invece abita in uno scantinato, che poi è dove sono nata io, cioè la stanza vicina a dire il vero. Mio papà invece è americano, di vicino Nashville, e non trovate curioso che si chiami Singer? Io se penso che viene da vicino Nashville e si chiama Singer quasi piango dal ridere. Mia mamma mi teneva al caldo mentre nascevo, mia mamma è delicata, non mi ha mai dato uno strattone. Mio papà invece è rigidissimo, uno tutto d'un pezzo, d'acciaio come si dice. Quando sono nata loro volevano farmi bellissima. Mia mamma ci ha messo molta cura e tempo ad allevarmi. Ha scelto i fiori adatti a me, i colori, addirittura ha scelto un pizzo intonato a me, e mi ha sempre cantato canzoni bellissime. Papà balbettava e ripeteva sempre tatatatata, all'infinito, nessuno lo capisce papà.
Ho fatto la mia infanzia in quello stanzone lì, pieno di altri come me, mi sentivo bene tra amici, ci capivamo. Sapete tutti i nostri papà balbettano, ma non è un problema grosso lì, non lo era per me, mia mamma mi teneva al caldo, questo importava.
Ad agosto mi trasferiscono in una stanza più piccola ed umida, siamo tante, sudiamo tantissimo, e per non appiccicarci ci danno dei fogli di plastica e un biglietto e ciao, partiamo tutte in questa stanza piccola. Una puzza tremenda c'era. Mia mamma mi aveva dato il suo pizzo più bello e adesso sentivo che si stava rovinando dentro quella stanzetta angusta con le altre che spingevano e grattavano e graffiavano.
Finalmente a settembre aprono la stanza. Io stavo malissimo. Il mio pizzo era quasi logoro per via dello strofinamento sulla plastica delle altre. Che cosa fastidiosa! Ma finalmente un posto nuovo, mani calde, di nuovo. Le altre vedo che partono di nuovo, nuovi biglietti, io no, finisco per due giorni in una stanza piccola, ma luminosa, poi incontro Lucia, è uguale a mia mamma, ma ha un nome stranissimo. Sinceramente quando parla non la capisco. Però mi tiene calda, per un po' almeno, poi inizia la scuola anche per me. In fila con le altre, era pieno di nuovo, ma la scuola è bella luminosa calda posso essere libera, vicino alle altre, ogni tanto qualcuna ci prende tra le braccia, è bello, è caldo, poi torniamo a stare tra di noi, a studiare.
Un giorno però arriva una, e vedo che ha una mia vecchia compagna di giochi con lei, non ci credo! è una cosa bellissima e come deve star calda lei! Questa, che si chiama Maura, decide che devo seguirla. Che bello insieme alla mia amica d'infanzia, finalmente al caldo! Saluto la scuola e vado via contenta verso la mia nuova vita, vita di libertà, viaggi incontri emozionanti.
Invece no. Sappiatelo, la vita non è proprio così.
Va a finire che, due giorni dopo arriva una nuova, col pizzo integro, il mio s'era rovinato nel viaggio, ve l'avevo detto no? E dopo una settimana un'altra ancora. Finisco in una stanzetta buia di nuovo, insieme ad altre, siamo sporche, alcune hanno un profumo da due soldi nauseante. Spero in una nuova liberazione, come quel giorno che son tornata a casa, spero di vedere il mondo di nuovo, sentire il caldo di Maura e l'arietta fresca di questo ottobre. Ma niente.
Alla fine di ottobre rivedo la luce, per una fortuna o non lo so, quell'altra col pizzo integro la vedo sul divano. Deve essersi fatta male uno dei giorni scorsi, mi sa. Vado con Maura in un posto strano. Una stanza che si muove, mi viene un po' di mal di testa. Maura mi porta dappertutto, vedo un sacco di cose nuove che alla scuola nessuno mi aveva detto che esistessero! Ahhhh la scuola mi manca un po', ma adesso posso vedere cose bellissime e nel frattempo sono sola con Maura e al caldo.
Poi la tragedia. Rimango sola in quella stanza che si muove. Nessuno mi vede, Maura non c'è più. Aiuto.
Quando fa buio si avvicina uno, diversissimo da papà, zitto, ma simile per altri versi, anche lui tutto d'un pezzo, però è un pezzo nero, e puzza tanto! Mi ritrovo vicino ad altri diversi da me, ma chi sono, cosa vogliono? Un succo mi racconta la storia della sua vita. Ma cosa vuoi che mi interessi a me. Io voglio Maura, mi sento sola. Aiuto.
Per fortuna arriva Maria, mi pesca dal mucchio, mi dice "sei bellissima con questo pizzo blu", io quasi piango di gioia. Giuro. E vado via con Maria. Adesso con Maria vedo un sacco di cose, siamo sempre all'aperto.
Questa notte Maria non mi teneva più caldo. Non so cosa sia successo. Spero arrivi presto il sole a scaldarmi di nuovo.
Ma intanto vi dico una cosa, Maura era una stronza.

Grazie agente di polizia per avermi fatto rilasciare questa dichiarazione.

Sciarpa col pizzo blu rovinato.

11.03.2011

i 6 gradi di separazione

chi ci crede? a deriderli! dai non è possbile. me lo son sempre detta. sono una cosa che funziona su carta.
ecco no, funziona se non sai dove vai a parare e se per caso succede un caso di serendipity (questa sì che funziona sempre).
mi è successo prima. è figo. e capita random, non con i calcoli ben fatti, nossignori.

allora succede così: conosco una ragazza due tre anni fa per caso amica di una conoscente per caso instauriamo un rapporto amicale e st'estate questa pulzella si sposa e al suo matrimonio suonano dei parenti, ma bravi bravi eh, gente seria, mica da karaoke.
storia b: con un'amica di vecchia data ci prende la fissa per un cantante, così random credo, poi lo seguiamo qualche volta live, io mi iscrivo alla sua pagina di fb (chi è che non ce l'ha?) e la persona che gestisce la sua pagina di fb è una fotografa e allora clicco e cerco che foto fa e scopro che
ha fotografato la band di cui sopra.

figo.
ste cose a cazzi e mazzi mi piacciono. soprattutto quando ho speso 15 minuti della mia vita a tirar saracche contro enel. 


10.26.2011

a me

mi manca.

10.25.2011

conformarsi

e intanto che aspetto l'ansia mi fa vomitare qualcosa, delle cose, delle sentenze a caso, per via dell'ansia che quando ti prende ti blocca e te aspetti aspetti aspetti e senti solo l'orologio che ticchetta e immobile bestemmi.
Il risultato è questo.

Che sia mai, mi dicevo, che sia mai, IO come ALTER. Mai.

A 8 anni questo mai era grosso come una casa. Era la casa intera, i vestiti, il billy a merenda. Chi era alter? Nessuno. Era bello.
A 13 anni alter era già bello che andato, mai conosciuto, mai e mai. Io mai come alter me ne andavo in giro bella e buona e rompipalle.
Poi a 18 anni alter è lì che non lo puoi più scansare e allora Io mai come alter lo guardo disincantata e gli lascio fare ad alter di dire qualcosa. Alter parla, io non lo sapevo mica.
A 25 alter è il solito mai, chi era chi è, presente passato fusi, Io mai come alter, gli lasciavo qualsiasi spazio possibile, all'alter.

Mai come alter. In mezzo ad Alter. Il giorno del mai, che poi è ogni giorno, combatte da anni con il giorno del sempre. Perchè, ecco, se devo trovarci un perchè, poi ti tocca diventare come Alter.
Esempi pratici: all'asilo anche se i tuoi compagni sono moccolosi e irritanti, ti tocca giocare con loro, avere i loro giocattoli, tu non lo sai, lo sa tua madre per te, e allora te ed alter lì nel mucchio siete un po' la stessa cosa, te non è che a 5 anni ci rifletti eh, però prendi atto.
Alle elementari Alter ti gira intorno in ogni modo possibile, fa le capriole anche, e te o sei come alter o allora niente. Ma niente di niente. Allora impari a leggere come alter e a scrivere, cosa ben peggiore come alter, poi addirittura arrivi a usare la stessa calligrafia di alter, ma te non lo sai mica, manco alle elementari rifletti. Alter gioca a calcio e ti tocca giocare a calcio, cioè l'alternativa possibile, a 8 anni, non c'è, non c'è perchè non te la figuri, se proprio devo pensarci, il perchè è questo.
Alle medie alter è quello che ti spacca le palle con i compiti per casa, il compagno di banco fastidioso, le tue amiche con le gonne tutte uguali i capelli tutti uguali che dicono cose ugualissime. Te alle medie cosa vuoi fare? Mai come alter un po' ti ci tocca essere come alter e mai come alle medie ti ricapita di esserne davvero consapevole: o come alter o fuori.
Poi che la consapevolezza ormai è bella e fatta o sei alter, o niente, esattamente come i passaggi di prima, solo che ormai è un dato di fatto esattamente come il verde che finiva prima del marrone all'asilo.
Io mai come Alter, utopia bizzarra, nel conformarsi ti conformi. Ti conformi. TI TOCCA.

perchè o così o è un giro a vuoto intorno alla casa nell'attesa che la minestra abbia cambiato aspetto, cosa impossibile, per altro.

10.20.2011

io sto con i vecchi.

l'italia è un paese per vecchi.

punto.

è un paese che fa la coda in posta il lunedì mattina sopratutto se il lunedì è anche uno dei primi giorni del mese. e sta lì in fila per ore per farsi dare i suoi bei 500 euri in carta, per passarseli tra le mani, metterli nel portafoglio, girare i tacchi e il traportino e andarseli a giocare al lotto.

è un paese che compra le diana blu. poi si siede sul tavolino e gira annoiata le pagine del quotidiano locale che racconta chi ha rubato a casa di maria ieri. fa una partita a carte, poi scatarra e si soffia il naso.

è un paese che gira in bici, a piedi, va a comprare la bombola del gas e se la fa portare a casa perchè le scale non riesce più a farle. è un paese con l'enfisema polmonare.

è un paese che va al parco a giocare a carte, insultare i mocciosi, scaccolarsi e lamentarsi degli immigrati che bevono al parco. solo che lei, il paese, c'è andata con due fiaschi di vino di quelli del contadino, più umano, più vero.

l'italia è un paese per vecchie.

è un paese che fa la spesa di mattina alle 9 perchè poi c'è la coda, stira le tovaglie macchiate indelebilmente, guarda l'italia sul due mentre asciuga i piatti, dorme in poltrona tra le 14 e le 15 e poi a bere il tè da qualche parte. a piedi o in bicicletta.

è l'italia dei vecchi, l'italia che vivo io.
la stessa identica italia.
pensionata, senza pensione

come ogni bel vecchio che si rispetti anche io mi lamento che c'è umido piove fa caldo troppo sole vento schifoso il dottore che non arriva c'è troppa coda torno dopo cosa mangiamo a pranzo sempre le solite cose che due coglioni adesso bevo un caffè ma non forte che non posso più m'ha detto il dottore che è meglio se bevo il deca quello stronzo che arriva tardi.

come ogni bel vecchio.

10.04.2011

Shit happens, direbbero gli inglesi.

Tradotto letteralmente con "la merda succede" rende meglio l'idea. Perchè le cose accadono anche se non lo vuoi. Anche se fortissimamente non lo vuoi. Accadono queste stronze.

Poi è interessante capire come ogniuno se la racconta, la sua merda o quella degli altri. C'è qualcuno che c'ha fatto dei libri, o un libro su tutti. Eppure è una cosa interessante raccontarsi le cose che accadono in modi diversi. Non è solo abilità dello scrittore, è abilità comune ma mal usata.

Ma dato che la merda succede, adesso mi racconterò un po' di merda random, ma in modo che non sembri nè puzzolente nè schifosa. Insomma voglio raccontarmi una storia non giornalistica, senza polemiche, senza moralismi, senza. Ma  nudi fatti son subdoli e peggio di quelli conditi, e anche su questo qualcuno c'ha fatto dei libri e preso gran soldi.

Viviana stava ancora aspettando il bus. Si guardava attorno spaventata e cominciava a sentire freddo. Fine settembre, si diceva Viviana, e c'è così caldo qui, ma non di sera, no non di sera. Prima settimana di Università per Viviana. Al nord, cascasse il mondo, Viviana ci doveva andare, perché è al nord che se c'è qualcosa che deve muoversi si muoverà. Così pensava quando tra le città dove studiare in quel nord automa ne scelse una che non le diceva molto. Una cittadina media del nord, una qualsiasi le sarebbe andata bene. Parlando con Antonio e Maddalena era uscito fuori che anche loro, cascasse il mondo, l'avrebbero seguita al nord. Solo che poi Antonio non aveva avuto la finanza sperata e sperare nella borsa di studio era qualcosa che non si poteva permettere. Cascasse il mondo, ad Antonio sarebbe solo successo di far muovere le cose più a sud, dove a settembre fa ancora caldissimo.
E adesso Viviana stava aspettando proprio Maddalena, lì a quella fermata del bus che aveva un nome che lei non conosceva. Aveva anche un po' paura, perchè ormai s'era fatto buio e anche se le strade erano ancora piene di studenti e turisti lei era lì, sola, in un posto centrale ma per lei così nuovo da muoverle dentro solo timori. Il bus non arrivava e neppure Maddalena. La tensione era talmente forte che per smorzarla Viviana si mise a passeggiare su e giù, allontanandosi sempre di un po', fino a scorgere a poche decine di metri un'altra fermata, più illuminata e vicina ad una vetrina di un bar. Che strano, pensava Viviana, eppure qua mi sembrava tutto morto. E invece no, a quell'ora pochi posti rimangono aperti e Viviana spinta dalla paura ne aveva trovato uno. Già avvicinandosi sentiva la paura andarsene insieme a quel freddo che le aveva fatto venire voglia di correre di gioia. Viviana scomposta dalla corsa si ricompone, fa finta di niente guardando gli orari del bus, vuole darsi da bere che così non si accorgerà nessuno del suo cambiamento repentino di fermata. Ahilei nessuno in giro si poteva chiedere nulla, a quell'ora, non di certo gli avventori del bar seduti fuori ed itenti a parlare a voce alta con tono litigioso di argomenti innaffiati dalla birra. Viviana li vede e non ha alcuna voglia di andarcisi a sedere nel mezzo. Ma è incuriosita dalla lingua, è incuriosita dai gesti, dagli sgabelli perfino, a quell'ora e da sola qualsiasi l'avrebbe incuriosita qualsiasi altra cosa, tutto pur di far finta di non essere sola ed in attesa, sola. Mentre con le mani si strofina le braccia per scaldarsi un po', con lo sguardo assorto, arriva un tipo sbilenco su una bici sbilenca. La sensazione a guardarlo è quella che si ha in nave, pensa Viviana, in nave e col mare grosso, ti fa venire nausea. Dove starà andando? Dritto addosso a Viviana. O è quel che pensa lei. Se lo sente arrivare addosso avvolto dall'odore sbilenco tipico di chi è sbilenco. Viviana lo pensa e ha paura. La bici sbilenca svolta all'ultimo e s'infila sin quasi dentro al bar. Gli avventori son talmente intenti a mantenersi dritti sugli sgabelli mentre parlano con le mani e con la bocca impastano parole senza senso che non se ne accorgono. Quasi travolti dalla bici sbilenca, ma niente, è un fatto di talmente poco conto che proseguono. Il gestore del bar, assorto nei suoi pensieri, mentre asciuga con la pezza bisunta tazzine del 1993, si vede recapitare dentro l'immagine sbilenca dell'uomo sbilenco su bici sbilenca, quasi dentro, perchè i freni, meno sbilenchi del resto, hanno funzionato così bene che l'uomo sbilenco ha inchiodato così forte da sbilencarsi tutto e quasi cadere sbilenco, quasi però. Allora il gestore lo guarda, Viviana lo guarda, gli avventori brindano a qualcosa di ignoto che suona come agnamegane, e gestore e Viviana si chiedono cosa faccia l'uomo sbilenco con un guantino rosso da quattordicenne sul polso. L'uomo sbilenco è giovane, ma non così giovane, si dice Viviana, mentre tra un ahhhhhgamanè e un toiiiiiiiiioti, sente il gestore dire qualcosa all'uomo sbilenco. Probabilmente cosa vuole da lui, si dice Viviana, e chissà mai cosa vuole, entrare dentro in bici forse? Ma il gestore scrolla prima la testa, poi sparisce sotto al bancone, poi riemerge, sempre in mano tazzina e pezza, e Viviana si chiede se quello ci viva con la tazzina e la pezza, modello Linus, riemerge con un sacchetto strano, e lo porge all'uomo sbilenco. Viviana è smarrita, non capisce cosa ci faccia l'uomo sbilenco con un sacchetto sbilenco. Non può essere droga sotto banco, al massimo può esserlo in tazza, ma non in sacchetto. L'uomo sbilenco si toglie il guantino e arrotola il sacchetto sul polso, sale in bici tenendo la mano sbilenca vicino alla pancia, quasi cade, ma poi prende il ritmo e se ne va. Viviana è basita, non sa cosa pensare, non sa neppure se continuare ad aspettare il bus con su Maddalena o salvare capra e cavoli andandosene da sola. E tutto viene smorzato dalla scena seguente.
Esterno notte. Un uomo con grembiule, pezza e tazzina, esce dalla porta di servizio del bar, con una tazza in mano piena d'acqua, la svuota in modo brusco e con disapprovazione sul guantino. Torna dentro il bar, e fuoriesce dopo 3 secondi, sottofondo di rumori di tazze e piatti ed acqua. Con una pezza raccoglie il guantino, lo butta nel bidone dietro di sè ed esclama "se non prendo l'epatite a sto giro, non muoio più".


9.12.2011

tutte cose

non ne ho alcun bisogno, mi son detta, mentre sfogliavo l'ennesimo catalogo, ma proprio nessun bisogno.

accendo la tv, e il conduttore brizzolato mi vuole vendere un tagliere anti batterico. adesso capisco l'idea, ma non l'utilità. mica mi son mai presa un accidenti a causa dei batteri sul tagliere? me lo chiedo...e mi rispondo che no, al massimo me li son presa a causa di quello che è contenuto dentro al cibo. spengo la tv e vado oltre.

mi capita uno di quei giornali da mezzo euro per donne sole annoiate e senza nessuna capacità mentale. non so se sia il target ma a leggerlo ti viene in mente questo. il giornale direttamente non mi rifila niente. eppure tra quegli "articoli" di moda leggo tra le righe che ho un abbigliamento inadatto. per non parlare dello stile di vita. per non parlare del make up. insomma non sono adatta, mi dice il giornale, ti devi vestire meglio, truccare meglio, mettere i tacchi, e per farlo devi comprare, mi dice il giornale. io quasi quasi gli credo, ma poi sono un po' infastidita dall'atteggiamento che hanno le modelle finte che pubblicizzano prodotti di cui non hanno bisogno. allora dico, anche io non ne ho bisogno e chiudo il giornale.

poi vado a prendere la posta e nel mezzo mi ritrovo volantini di ogni tipo di negozio possibile. e a me sembra tutto utile lì per lì, la sega circolare, il bancone per gli attrezzi, la sedia satinata, 3x2 dixan, reggiseni tirasutette senza spalline. poi mi prende un istinto mosso forse dalla modella di cui sopra, prendo la carta e la cestino.

ma il bello deve ancora arrivare, io non lo so, ma è in agguato e lo percepisco. allora mi siedo al pc, e mi dico convinta che dai adesso queste cose smetteranno di tormentarmi. poi apri una pagina a caso e toh l'annuncio ebay su misura per te (informaticamente sarà una banalità ma psicologicamente è la genialata del secolo) e anche questo mi lascia perplessa.

e poi la cosa peggiore. faccialibro con le sue citazioni e i post. e ti angosci, io mi angoscio. tutte queste cose parapsicologiche, fior fiore di stereotipi che pullulano sulla mia homepage, battutine acide, citazioni di personaggi famosi. e poi ti senti anche male, io mi sento male.

inadatta, me lo diceva il giornale, me lo dice la tv, e adesso anche i miei fantomatici amici.
se l'amore e questo, allora niente non sarà amore, se ti piace il rosso allora niente sarò nevrotica, se..se...se.

poi non spengo. cioè alla fine mi vien da ridere. perchè con st'atteggiamento mentale io non ci farò una lira, in compenso qualsiasi marchio si sta facendo montagne di soldi sulla nostra inettitudine.

9.08.2011

la vita del devo

Devo. ogni giorno "devo" qualcosa.
Devi mangiare, altrimenti muori. Devi bere, altrimenti muori prima. Devi espletare i tuoi bisogni corporei, come sopra. Penso che siano solo queste 3 le cose che uno DEVE fare.
Che poi non è che le devi fare, le fai e basta.

Poi c'è la serie devo giornaliera pseudo-imposta da me me stessa medesima, devo mangiare MENO, devo fare attività fisica, devo studiare, devo... e poi i devo eterodiretti. Questi li odio. Il dover pulire, il dover dimostrare qualcosa agli altri, il dover essere come gli altri, il dover essere puntuali, il dover conoscere le regole, etc. ETC. E..T..C.

Basta. questa parola è tremenda. Ma devo COSA e soprattutto a CHI?
Ho deciso che non devo proprio niente: Voglio mangiare meno perchè non riesco a salire le scale (idem attività fisica); Voglio studiare perchè mi piace acculturarmi (e lo studio mi disciplina nella scelta). Voglio pulire perchè sguazzare nelle scoasse non m'aggrada molto (pseudo-veritiera).

Ma con sti devo, basta. smettiamola. Io mi sento presa in giro a dover fare le cose. Come se ci fosse un bel cartello stradale appiccicato sopra a quello che devo o non devo fare.
I dovrei poi son dei bei cartelli rotti. se dovrei non vorrei. certo grammaticalmente è scorretto, ma il senso c'è tutto.

Penso di perder tempo, come sempre, a dire devo devo devo e poi, come sempre, non combinare quasi nulla. Vivere sotto il peso del dovere è come vivere fantozzinianamente. E a me fantozzi muove un certo istinto omicida.

9.07.2011

we're moving! ....again.

da settembre 2010 a settembre 2011 saranno 3 le volte che ci siam trasferiti.
da 45 a 70 mq e di nuovo 45. 70 mq sono veramente TROPPI per due. sono TROPPISSIMI anche se hai degli hobbies o se ti diverti a lasciare in disordine. quello che serve è un garage. lo spazio in casa non serve.

di nuovo cambiare disposizione dei mobili, pensare a come mettere tutto, incastrare oggetti e cimeli. ma questa volta c'è una difficoltà nuova: inventarsi la cucina. e qui viene il bello.
o il brutto.

improvvisarsi fai-da-te-man professionisti.
non vedo l'ora.

9.02.2011

nà brutta roba

a volte qualcosa funziona e non è tutto dire.
per una cosa che funziona, mille a rotoli.
e rotoli.

mi sembra sia questa la giusta sensazione, il giusto mezzo, la giusta via-di-mezzo.

stropicciare gli occhi di fronte a ciò che sembra veritiero, poi non lo è più e t'accorgi che così funziona meglio, così funziona, semplicemente così.

il paese del semplicemente è così.

a costo di sembrar qualunquisti.

8.28.2011

tic tac

24 ore. minuti incontabili. i giorni sono così.
si susseguono le lancette, tu che ti gratti la testa nello sfogliare una rivista da un euro e cinquanta, mentre tiri su gli occhiali e dondoli la gamba destra sopra quella sinistra. guardi le lancette. ti sembrano ferme.
poi è già il giorno seguente e quello seguente ancora. cambia il volto nella copertina della rivista, cambiano le scarpe. a volte gli occhiali. magari ora non li hai. o ti gratti il naso. guardi le lancette. ancora sembrano ferme.
poi non sai che giorno è. è un giorno di 24 ore. e tu guardi la rivista. la rivista adesso non ha nessun volto. contiene prodotti in vendita, prodotti che non ti interessano. ti guardi le unghie. e guardi le lancette. conti mentalmente i secondi. e guardi le lancette. per vedere se riesci andare a tempo o solo per controllare che l'orologio non sia fermo. sbuffi. il tuo vicino ha cambiato faccia come la signorina in prima pagina. a volte è donna a volte uomo vecchio giovane incinta singhiozzante allarmato si asciuga gli occhi sorride sgrida il bambino accompagna l'anziana accavalla le gambe gioca con il cellulare.
poi un giorno, finalmente, l'orologio smette di correre. e si ferma davvero.

e allora esce il dottore e ti manda via scocciato "signorina quell'orologio è fermo, sono le 13 e io ho chiuso un'ora fa".
l'unica volta il cui non avresti toccato la rivista.
vaffanculo, pile di merda.

8.25.2011

mi fai schifo verbo.

disegnare con mano inferma ostentazione e desiderare che poi passi e non torni quel desiderio stesso di guardar altrove.

c'è gente che gode della compagnia delle persone altrui in modo pieno e positivo.
io no. non mi piace la solitudine ma nell'esser solo scopri cose che mai altri ti potrebbero svelare.
la compagnia è qualcosa di ostentato, l'accessorio alla moda di una vita vuota.

una vita vuota. abbiamo tutti paura di averla. riempiamo scatole di ricordi. di foto vecchie. scontrini. oggetti. frutta morta nel frigo. televisori. cellulari. cellulari non funzionanti. ipod. ipod nano. touch. stampante. libri. carta. fogli strappati. amicizie. amori. amanti. sesso. mutande. calzini. calzini bucati. occhiali. occhiali da sole. orologi rotti. borse rotte. scarpe rotte.
siamo l'armadio di noi stessi.
la dimostrazione costante che siamo qualcosa ci vien data dall'avere. avere informazioni. essere al corrente. avere qualcosa da dire. essere dei buoni dialogatori. aver fede. coraggio. umiliazioni da condividere. avere soldi, usarli, parlarne. avere coscienza, o far finta di averne.

cosa si vuole. tutti a schernirsi. è gioco forza. e allora a lamentarci di chi mal dice. a lamentarci a far finta di evitarli a dirlo e non farlo a farlo e non dirlo o meglio dire di non dire se si fa con sorrisino che allude. alludere.

alludere. mi fai schifo verbo.
e non è il sol verbo a farmi schifo. quello che fu in principio ancor peggio.
e ho fatto un'allusione.

8.23.2011

andare o restare, eterna questione affine all'essere o avere.
spavaldamente affrontare quel che si cerca.
o gettarsi nell'abisso infito del non sono stato io.

ammettere e discolparsi
annegare nell'isolamento
distogliere l'attenzione al momento sbagliato

dimenticare.

7.27.2011

circo(n)va(l)l'azione

ognuno ha la sua propria circonvallazione.
non la si sceglie: capita. metti che ci sia uno stolto tra gli ingegneri che la progettano e BAM! circonvallazione bloccata.

nel mio personale caso ho una circonvallazione di merda.
quella sanguigna fa un po' schifo e negli anni mi ha regalato cellulite e delle belle vene rotte qui e lì.
poi c'è la circonvallazione esterna, quella che ti porta in periferia, e si sa, la periferia FA CAGARE.
la mia periferia è orrenda. malavitosa a dir poco. inoltre è inutile. piena di immondizia. ci passi e ti chiedi quando verranno a levarla di torno.

ognuno ha la sua circonvallazione. puoi decidere di frequentarla o di lasciarla lì com'è.
io sono più da strade di campagna o vie del centro a piedi, ste cose da città non mi piacciono.

puoi far finta che non ci sia la tua circonvallazione ma poi a causa del traffico o per una manovra sbagliata, BADABAM ecco che ci sbatti contro e ti vai ad infilare tra le auto in fila.
tutti nella circonvallazione esattamente quando ci capiti te.
e capita, e come se capita, di trovarti lì insieme a un passante qualsiasi, che ha la faccia come la tua, che si gratta il naso come te, che si scaccola un pochino, tanto siamo in auto chi vuoi che ci veda, che accende la radio, poi la spegne, poi riaccende, cambia stazione, sbuffa, dice "ci muoviamo", e proprio come te controlla nello specchietto retrovisore che faccia ha quello lì incolonnato.
nella circonvallazione si incrociano questi personaggi qui, ma niente lì si manda a cagare confondendoli tra gli altri.

chissà quante volte m'han mandato a fanculo.

7.24.2011

Giugno, 1999.

Primi di giugno del 1999. Il Kosovo già allora si vede che m'aveva colpita. Impressionanti gli orrori che tornano alla mente attraverso le mie stolte parole.


missili sul campo di grano

bombe su quella terra scura
volti straziati dal sole e dalla paura
e ancora
colpi di mitragliatice su corpi già morti
e mani sporche
rovinate dal tempo
rovinate dal lavoro umile
di mani umili
e cuori spenti
e tristi
spente le case
spente le strade
solo un lungo silenzio di morte
odora di triste quest'aria calda
è primavera ma tutto è così secco e arido
tutto morto
e pesante
e triste
e non sai se si meglio piangere
o non pensare a tutti quegli occhi che guardano fissi la maccina nera
stanno ancora giocando con le loro vite
eppure è la terra
il più avanzato dei pianeti
eppur son gli umani
a conoscere i segreti
e se in fondo fossimo degli alieni scesi su questa terra per mettere in atto le guerre più sporche e inutili che si siano mai viste?
eppure è il 2000
il nuovo millennio inizia
e sappiamo solo presentare nuovi mondi di niente
mondi deserti e spent
senza gioia
senza speranza
resta il dolore
e attorno non si vede che un paese vuoto.

7.18.2011

con quali parole

come dosare la rabbia
come discutere con dignità
come esprimersi e venir intesi
come come come

il resto non conta
solo il come

vorrei sapere come.

7.15.2011

Old stuff

Molto old. Sono passati 11 anni da queste parole e fuorché lo stile, nulla è cambiato

Non ho più lacrime da piangere

né parole da dire

solo amaro dei ricordi

che non potrò avere.


Vorrei che tutto tacesse

e che si sentisse

solo

un canto

ma non è possibile


Scorderemo un giorno

i dolori di questa triste esistenza

Dimenticheremo la sofferenza

il rancore

la rabbia

E ci ricorderemo

di tutta l'assurda bellezza

della nostra vita

della felicità che abbiamo trovato

delle nostre gioie

ce ne ricorderemo

perchè sono di meno

e per questo più facili da catalogare

e quella felicità che forse è durata un attimo

ci sembrerà la vita intera.


Due minuti

Prendi lei, per esempio. Dico lei perché è lei che conosco e il paragone mi vien facile.

Dico, prendi lei. Lei ti dice che in due minuti è apposto. Cioè si aggiusta i capelli ed esce di casa così. Che lei non ha tempo da perdere.

Allora niente, prendi lei che dice ste cose. Poi si veste di corsa. Dico lei si veste di corsa, lei si prepara in due minuti, dice. Poi prendi me. Così a caso perché anche io mi conosco e il paragone è facile. Io manco in due ore ho i capelli così come lei. Cioè io manco se vado dal parrucchiere. E i vestiti...parliamone. Se io pesco a caso dall'armadio alla meglio trovo un paio di braghe inabbinabili con una maglia e finisco anche per sembrare un semaforo ambulante con una scopa in testa.

Ecco prendi me, io giro con una scopa in testa anche se c'ho messo due ore a farla sembrare un'acconciatura. Poi prendi lei che la scopa ce l'ha in culo da una vita, mica da due minuti.


Sarà sfiga?

Un confronto tra me e mestessa


Ritrovare un oggetto smarrito quando ormai ne hai comprato uno migliore in sostituzione.

No, non è sfiga, è essere smemorati e spendaccioni.

Trovarsi in galleria nel bel mezzo di una discussione al telefono.

No, non è sfiga, è essere idioti a litigar per telefono.

Spendere 6 euro per lavare l'auto quando il giorno seguente piove.

No, non è sfiga, è essere poco accorti e non seguire ilmeteo.it

Mettersi lo smalto e poi rompersi un'unghia.

No, non è sfiga, è non aver tagliato corte le unghie.

Mandare un messaggio con contenuti non adatti alla persona sbagliata.

No, non è sfiga, è disattenzione nel leggere i nomi in rubrica.

Dimenticarsi il bucato in lavatrice. Rifare il bucato. Ridimenticarselo.

No, non è sfiga, è essere coglioni.

Prendere 110, ma senza lode.

No, non è sfiga, è essere l'ultimo della giornata.

Fare una cosa bellissima ma avere le batterie scariche della macchina fotografica per fermare l'attimo.

No, non è sfiga, è un benvenuto nell'era digitale.

Passare 2 ore a pulire il bagno, andare al lavoro, e trovare al ritorno il rotolo della carta igienica sparpagliato sul pavimento e il tappetino inzozzato di piscio.

No, non è sfiga, è solo un gatto rompicoglioni.

Parcheggiare l'auto e dimenticarsi il luogo.

No, non è sfiga, è demenza senile precoce.

Andare al cinema di lunedì convinti di pagare 4 euroe pagarne 6 invece.

No, non è sfiga, si chiama cambio di città.

Cuocere una torta in forno, metterci due ore, far bruciare la parte sotto e lasciarla cruda sopra per doverla portare a un compleanno.

No, non è sfiga, è essere tirchi e imbranati a usare il forno a gas.

Avere solo musica rock quando sei nelle situazioni di socializzazione.

No, non è sfiga, è essere amanti della buona musica.

Dover fare da hostess ad un gala importante e andarci con delle ballerine sdrucite.

No, non è sfiga, è non conoscere il significato della frase “adatto alle occasioni”.

Pagare 35 euro al mese di internet per doverlo poi scroccare dai vicini perchè non va e vedersi fregare anche st'opzione perchè il vicino ha messo la password.

No, non è sfiga, è accortezza per il vicino e stupidità per aver scelto l'operatore telefonico tarocco.

Ma sarà sfiga?

No, non è sfiga, la sfiga non esiste. Sei solo te che non ce la puoi fare.


7.12.2011

una volta

quando dico una cosa, poi la ripeto. il concetto di "dirlo una volta" non vale nel mio caso.
mi dimentico di aver detto, ripeto. ripeto e ripeto. o a volte ripeto con piccole variazioni.
dimenticando in fretta i dettagli a volte cambio luoghi, colori, nomi e perfino persone nei fatti. di fatto sono sempre storie nuove, i fatti.

una volta insomma non basta. due tre dieci è meglio. dipende dalle cose. dai fatti. dipende da chi ci circonda. più le persone mi intimoriscono più si moltiplicano le volte.
devo assolutamente riaffermarmi, in ogni momento, perchè l'altro mi destabilizza.

una volta. quando leggo qualcosa e mi sa di già sentito commento. commento. commento che "già letto" e rido. poi son circondata da altri commenti, su di me ovviamente. e anche quelli son molteplici e già sentiti.

riconosco di essere recidiva, in ogni cosa. continuo e ricontinuo quindi di fatto una volta, intesto, una volta solamente, non esiste.

una volta vale anche per lo scrivere. e non vale solo per me.

7.07.2011

cose stratosferiche, alle medie

onde stratosferiche. cosa accidenti vuol dire, poi, stratosfera.
rimembro lezioni di geografia lontane: a 13 anni è tutto così insulso.
ti siedi ad ascoltare inerme citazioni storiche e aspetti.
la stratosfera è solo quella roba lì, quella che ti serve per dire "robe stratosferiche".
io in geografia avevo anche voti buoni, tipo buono, o distinto. negli anni 90 non c'erano i numeri.
c'erano le lettere, come in america. e A era ottimo, B buono... C boh D boh E insufficiente. io a 13 anni volevo che D fosse distinto, perchè B era buono, A ovviamente è la prima lettera e allora doveva valere di più. Invece D era una cosa a metà tra suff e insuff, tipo un dal 5 al 6, ma solo in seconda perchè in terza era suff e C discreto o una cosa del genere.
in geografia però andavo discretamente. mi piaceva la materia, perchè era geografia ma anche scienze. alle medie è così, a parte italiano e matematica, le altre materie sono un po' mischiate, allora geografia era anche scienze e la stratosfera si studiava anche in geografia.
la materia era bella: scoprire il mondo stando fermi. C'è gente che ci ha costruito su una carriera letteraria e questo anche è affascinante.
io immaginavo solo e mi ricordo che ero affascinata dall'africa. l'africa era una roba immesa, stratosferica, sulla cartina.
ed è solo quel che ricordo: cose stratosferiche, alle medie.

6.27.2011

lasciate che

il marmo rimanga attaccato ai monti, è meglio lì che nei vostri cessi. assicuro io.
dischiuso
chiuso
di uso
schiuso

ti ho sentito
maglie che si intrecciano sotto lo sferruzzamento
mento

voce tua mai conosco
riconosco di non saper sentire
la tua voce non ha suono

suo, no.
mio, di certo no

occhi che incrocio veder non posson
son stanco ammetto d'esser trattenuto in due parole
una forse

arrampicarsi, picarsi, rampa, arsi
legna mai non usai nel mio letto
mai spensi, mai accesi, mai

dimenarsi, arsi, meno
nell'attesa che si riempia e si svuoti e si riempia e si svuoti
sotto il pendolo ti vedrò
ti sentirò

mai

6.26.2011

Aperitivi

Carlo è uno che non si può chiamare altro che Carlo. Come vuoi che si chiami una persona di quella stazza lì? Adalberto? Ovviamente si chiama Carlo. A sua mamma doveva essere stato chiaro fin dal parto, che Carlo sarebbe stato Carlo.

Carlo ti guarda che hai il bicchiere mezzo vuoto e te lo vuole rimpire ancora e ti dice "mai lasciare che finisca". Così tu guardi Carlo, e devi fare diversi movimenti con gli occhi per riuscire a incastralo in un'unica istantanea, tu lo guardi e annuisci. Il bicchiere mai vuoto, la moglie sempre ubriaca, pensi.

Allora Carlo asciuga quella bottiglia con la quale t'ha appena versato da bere. L'asciuga passandosela tra le mani e sul grembiule modello tendone da circo 2011, imbrattato di non si sa bene cose, e giuro, non voglio saperlo, poi s'asciuga anche le mani sul suo grembiule e nel mentre ti riempie il bicchiere.

Al quarto bicchiere, senza aver toccato cibo, perchè l'alcol è gratis, ma il mangiare lo paghi, tu rotei gli occhi e ridi. Carlo ti riempie il bicchiere. Carlo si riempie anche il suo, 10 volte nel frattempo. è un gioco di "unoamme e unoattè", solo che i te sono molti, e lui finisce per bere troppo. E non è la sola cosa che Carlo ha di troppo.

Oltre ai chili, al sudore, alle mani, alle macchie sul grebiule, Carlo ha troppe parole. Ti riempie il bicchiere di vino e la testa di parole. Le parole hanno lo stesso sapore del vino. Al secondo bicchiere già non sai più che gusto abbia. E allora annuisci e ridi. E le parole di Carlo si muovono e ti si attaccano addosso e ti sembra di avere delle macchie anche a te che non hai il grembiule.

Poi ride anche Carlo ubriaco di vino e delle sue stesse parole. Tu ridi, poi ti guardi in torno, e fai fatica a superare Carlo con lo sguardo, e c'è gente che ti confonde. All'ennesimo bicchiere Carlo è solo una poltrona comoda sulla quale sedersi e la sua voce musica di sottofondo, bella quanto inutile, che tanto non sai mai che canzone è. Poi ti confondi. c'è questo o questa e te non capisci. è l'ennesimo bicchiere e non puoi capirlo più.

L'obiettivo è scavalcare Carlo-poltrona-umana e trovarne una consona per sederti e ridere.

6.25.2011

lei

lei guardava e rideva. rideva forte di risa intense e amare.
scrollando i capelli, neri di fumo, rideva e rideva.
e scendevano gocce. la pioggia era caduta e l'aveva infradiciata.

lei. stretta in quella specie di trenc da 12 euro e 99. blu. le maniche nè lunghe nè corte. le maniche a metà. che non si capiva se era lo stilista ad essersi confuso o il sarto ad aver sbagliato i calcoli.
trench infradiciato.

lei stringeva al petto la borsetta. una borsetta bella. una borsetta marrone. la sua borsetta. la borsetta di lei. infradiciata.

rideva forte. le gocce scendevano giù veloci veloci. le scarpe dovevano essere state verdi prima del temporale estivo. le scarpe, ballerine ultimamoda, ora marroncine, nere e a tratti color fango, dove colore è un aggettivo, le scarpe di lei. belle. infradiciate.

lei rideva. rideva e non riusciva a non singhiozzare. non riusciva a fermare i movimenti aritmici delle spalle. rideva. infradiciata.

in quel giorno d'estate, lei aveva avuto un po' freddo, s'era preparata al brutto tempo stringendosi nei jeans lunghi, nel trench, ma s'era scordata l'ombrello. faceva freddo pensava lei, ma non pioverà mai, si diceva speranzosa.

ma poi aveva piovuto, e anche la corsa non le era bastata. e manco la sua borsetta, bella e piccina, le era bastata. e manco il trench, le era bastato. si era infradiciata.

ora, mentre rideva, un riso amaro, l'unica cosa che pensava erano i 50 euro buttati dal parrucchiere.

6.23.2011

altri

guardo le vite degli altri.
gli scrittori per farsi passare i giorni se le inventano. io no, io faccio prima a guardarle.

gli altri vivono: fanno cose, vedono gente, per citare citazioni note ai più. si incontrano si scontrano si emozionano blaterano coinvolgono fanno mangiano dormono condividono lavorano.
io no. io guardo cosa fanno gli altri, e penso.

penso tutto il tempo a cosa fanno gli altri, come lo fanno, come fanno a fare quello che fanno, come fanno a parlare con gli altri altri come loro, che linguaggio usano, come si vestono, si siedono le regole che conoscono quelle che ignorano, le cose che fanno da soli con gli altri e ridono e si divertono. fumano.

io no. io non ci so stare. con gli altri che fanno le cose come gli altri e vivono come gli altri e parlano come gli altri.
io vorrei solo sapere come si fa, vorrei tanto sapere come si fa. per questo li guardo.

le vite degli altri son interessanti: fanno un sacco di cose che sembrano divertenti poi te le raccontano con due frasi e ti dicono "niente di che" e tu, io cioè, pensi che non è che sia niente di che è un sacco di cose. un sacco di cose. cose.

gli altri hanno vite mostruose. o bellissime. o divertentissime. o fighissime. o tristissime. le cose degli altri, le vite degli altri, sono sempre issime. la mia no.

il protagonista del film le vite degli altri. quello alla fine una vita l'aveva anche lui. anche lui ha fatto delle cose fighissime, bellissime. mostruose. io no. io le guardo le vite degli altri.

mi passano accanto, mi sfiorano, a volte ci scontriamo alle fermate dei bus. una volta quando prendevo i mezzi pubblici. ora anche i mezzi i pubblici fanno parte delle vite degli altri.

posso usare intere giornate a guardare le vite degli altri. le uso proprio. escogito piani diabolici. le vite degli altri dopo un po' che le guardi ti fanno quest'effetto. ipnosi. suggestione. autosuggestione. le vite degli altri sono dense. lo sono per tv, lo sono per strada, sui giornali, tra le parole spese seduti al bar. io le guardo.

li guardo da 28 anni e ancora non c'ho capito un cazzo.
voglio fare un corso di altruismo. non nel senso buono della parola. ma nel senso vero sì, io voglio fare un corso che mi insegni ad essere gli altri lì, perché ad essere questa qui dopo 28 anni posso ben dirlo che secondo me non ne son mica capace.

mal di casa

ed è già tardi.
giri la chiave, una risata fermata sul pianerottolo.
occhi che brillano brilli, sorrisi non ancora spenti.
entri. e sembra la fine.

fine serata, fine giovinezza.
fine.

ogni volta la stessa cosa.

entrare in casa mi mette a disagio. sempre.
fin da quando ero bambina. entrare in casa significava fine.

quel che di bello accade, accade fuori.
dentro niente. vuoto totale.

5.04.2011

sì, lo immaginavo

gli ha raccontato proprio tutto
gli ha chiesto se la cosa fosse continuata
non doveva preoccuparsi

non era così sorpreso
non ha mai fatto niente
ha sempre fatto di finta di averlo saputo

le vecchie abitudini sono dure a morire
è strano, sembra tutto diverso

sì è così

4.25.2011

ed entra il 25 aprile, quest'anno ammalato, si regge su una stampella perchè gli han sparato allo stivale

4.21.2011

la gatta sul tetto

lamenti, prima silenziosi, passi veloci, poi una voce grossa.
vuole uscire. si apposta vicino alla porta, e poi tuona.
nessuno apre, inizia a rovesciare penne, fogli, cibo e quel che trova sul tavolo.
se non mi muovo alla svelta mi incedia casa.

4.18.2011

put a shell on

non posso aspettare. no non posso ho detto.
ti guardo di nascosto in momenti in cui non ci sei. ma non posso fermarmi e aspettare.
un passo veloce, un altro ancora e veloce veloco fuggo lontano.
non posso aspettare. non posso vedere cosa accadrà. ho paura di quel che accadrà
è un mistero che mi spaventa. è qualcosa che non voglio conoscere.
non posso aspettare. no non posso. e non aspetterò

4.15.2011

esercizi

esercitarsi per divertirsi.

esercizio stilistico inutile, fine a sè steso ma pur sempre divertente.

Io sono un

Io sono un articolo

Io sono un articolo indeterminato

Io sono un numero uno

Io sono un, do tre

Io sono un fante, cavallo e re

Io sono una regina o donna

Io sono una foglia

Io sono una mosca

Io sono un fastidio

Io sono un ronzio continuo

Io sono un lamento

Io sono un’ auto usata

Io sono una cima mozzata

Io sono una roba lavata e non stirata

Io sono una mozzarella fuori dal frico

Io sono uno yogurt acidino

Io sono un riflesso

Io sono un reflusso

Io sono un fruscio

Io sono un addio

4.04.2011

in fila per due col resto di uno

4 aprile senza pretese passi a mie spese

dimentico oggetti antichi in giro per casa come fossero cartoline macchiate di luoghi mai visti.
chi è mai stato a new york?londra?san giminiano?
chi ha mai calpestato quei suoli e fissato quei cieli?
e così i miei oggetti sparpagliati senza ordine, rovesciati, aspettano solo che la polvere dei ricordi li ricopra.

e io allo stesso modo passeggio su e giù senza accorgermi che è primavera già. che la neve non c'è più e mai più ci sarà. che questo mio vanverare di stagioni non mi pesa più.

raccolgo margherite e faccio ghirlande, da poco ho imparato come si fa. da piccola dimenticavo come fare e smettevo ancor prima di iniziare. ad oggi odio i fiori.

3.08.2011

Nuvole che fanno piovere

E non siamo una data sul calendario.

l'otto di marzo del 2011 sarà come ogni ottomarzo passato a pensare che le donne sono un giorno segnato sui calendari appesi al muro, una parentesi tra il carnevale e la festa del papà. Una data né più né che san valentino, il quindiciagosto.

Siamo una data. Ogni anno ci festeggiano, ci portano dei fiori (brutti e puzzolenti), come fossimo tombe. Siamo il duenovembre. Un duenovembre tutto femminile. Depongono sugli altari appassiti dei nostri giorni infelici dei meri sorrisi di circostanza. Non siamo l'altra metà del cielo. Siamo la parentesi involontaria che si apre e si chiude per un giorno all'anno. Siamo l'ooops nelle frasi aggiustate e corrette nei discorsi sul lavoro, sul calcio e sulla politica.

Siamo il margine. Quelle lettere che scappano dalla penna e vanno al di là di quella linea violacea. Siamo da cancellare con il bianchetto. O più velocemente siamo da togliere.

Non siamo una data. Eppure come tale siamo trattate.
Ci distinguiamo per poche cose, e per meno veniamo ricordate. Siamo l'erba amara del contorno della portata principale. Ma per un giorno all'anno siamo il piatto principale, pronto per essere mangiato alla svelta.

Sono 364 i giorni che scorrono in sottofondo in questo giorno, e "cosa vuoi che sia" nessuno oggi ci fa caso, eppure mi pare che 364 pesi molto più di 1.
Che valore potremo avere se veniamo piazzate nel calendario insieme alla luna calante, a San Marco e Santa Caterina, al rosso di domenica e perchèno mettiamoci anche il sabato.
Che valore potremo avere mai ad essere una data, ad essere trattate da data e ricordate come data.

Non voglio essere festeggiata, non c'è niente da festeggiare.

2.14.2011

scotta

La pelle al sole profumava di miele caldo.
La schiena sfiorava la sabbia scottante e i piedi bagnati dall'acqua fredda del fiume assopito.
Giocavamo con i capelli tra le dita, la mano a schernire i raggi tiepidi, i sorrisi immediati.

Venne l'inverno a raggerlare gli animi.
Pietrificati, mummificati, attesi, i sorrisi non più in là ci condussero di dove già volevamo arrivare.

Nuova linfa invernale, cogliendo più che quello che lo sguardo può dire, le mani fare, la mente sognare.

Esitando non s'arriva, si parte. Si parte e questo è quanto.

1.24.2011

il 15 - 18

da adolescente avrei odiato il teatro degli orrori.
li avrei trovati orridi, orrendi, orrorifici.
li avrei messi al bando insieme ai marlene kuntz e a gruppi di cui ora non ricordo neppure il nome.
manifesto insensato, noioso, pomposo (fintamente non), dei miei 15 - 18.
i 15 - 18 sono una guerra, una guerra personalissima, che ognuno porta avanti contro tutto il resto del mondo. col sorriso sulla faccia o con le armi in braccio non fa poi molta differenza.
si combatte duro, anche contro la musica.
nei miei 15 - 18 ho combattuto duramente contro la musica, perdendo amaramente.
eroina di molte battaglie non ho ancora capito se la guerra l'ho poi vinta. davvero non me lo chiedo.
ovunque, negli spazi del 15 - 18, c'era musica e ovunque una musica che non volevi sentire.
troppo forte, troppo lenta, troppo...
durante la guerra non si ragiona, non si tengono le giuste misure, le distanze, e tutto sembra di contrasto.
finita la guerra non trovo ragioni comunque per sostenere proposizioni positive a riguardo di ciò che sento. posso però smettere di tenere in mano il fucile.

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