6.27.2011

lasciate che

il marmo rimanga attaccato ai monti, è meglio lì che nei vostri cessi. assicuro io.
dischiuso
chiuso
di uso
schiuso

ti ho sentito
maglie che si intrecciano sotto lo sferruzzamento
mento

voce tua mai conosco
riconosco di non saper sentire
la tua voce non ha suono

suo, no.
mio, di certo no

occhi che incrocio veder non posson
son stanco ammetto d'esser trattenuto in due parole
una forse

arrampicarsi, picarsi, rampa, arsi
legna mai non usai nel mio letto
mai spensi, mai accesi, mai

dimenarsi, arsi, meno
nell'attesa che si riempia e si svuoti e si riempia e si svuoti
sotto il pendolo ti vedrò
ti sentirò

mai

6.26.2011

Aperitivi

Carlo è uno che non si può chiamare altro che Carlo. Come vuoi che si chiami una persona di quella stazza lì? Adalberto? Ovviamente si chiama Carlo. A sua mamma doveva essere stato chiaro fin dal parto, che Carlo sarebbe stato Carlo.

Carlo ti guarda che hai il bicchiere mezzo vuoto e te lo vuole rimpire ancora e ti dice "mai lasciare che finisca". Così tu guardi Carlo, e devi fare diversi movimenti con gli occhi per riuscire a incastralo in un'unica istantanea, tu lo guardi e annuisci. Il bicchiere mai vuoto, la moglie sempre ubriaca, pensi.

Allora Carlo asciuga quella bottiglia con la quale t'ha appena versato da bere. L'asciuga passandosela tra le mani e sul grembiule modello tendone da circo 2011, imbrattato di non si sa bene cose, e giuro, non voglio saperlo, poi s'asciuga anche le mani sul suo grembiule e nel mentre ti riempie il bicchiere.

Al quarto bicchiere, senza aver toccato cibo, perchè l'alcol è gratis, ma il mangiare lo paghi, tu rotei gli occhi e ridi. Carlo ti riempie il bicchiere. Carlo si riempie anche il suo, 10 volte nel frattempo. è un gioco di "unoamme e unoattè", solo che i te sono molti, e lui finisce per bere troppo. E non è la sola cosa che Carlo ha di troppo.

Oltre ai chili, al sudore, alle mani, alle macchie sul grebiule, Carlo ha troppe parole. Ti riempie il bicchiere di vino e la testa di parole. Le parole hanno lo stesso sapore del vino. Al secondo bicchiere già non sai più che gusto abbia. E allora annuisci e ridi. E le parole di Carlo si muovono e ti si attaccano addosso e ti sembra di avere delle macchie anche a te che non hai il grembiule.

Poi ride anche Carlo ubriaco di vino e delle sue stesse parole. Tu ridi, poi ti guardi in torno, e fai fatica a superare Carlo con lo sguardo, e c'è gente che ti confonde. All'ennesimo bicchiere Carlo è solo una poltrona comoda sulla quale sedersi e la sua voce musica di sottofondo, bella quanto inutile, che tanto non sai mai che canzone è. Poi ti confondi. c'è questo o questa e te non capisci. è l'ennesimo bicchiere e non puoi capirlo più.

L'obiettivo è scavalcare Carlo-poltrona-umana e trovarne una consona per sederti e ridere.

6.25.2011

lei

lei guardava e rideva. rideva forte di risa intense e amare.
scrollando i capelli, neri di fumo, rideva e rideva.
e scendevano gocce. la pioggia era caduta e l'aveva infradiciata.

lei. stretta in quella specie di trenc da 12 euro e 99. blu. le maniche nè lunghe nè corte. le maniche a metà. che non si capiva se era lo stilista ad essersi confuso o il sarto ad aver sbagliato i calcoli.
trench infradiciato.

lei stringeva al petto la borsetta. una borsetta bella. una borsetta marrone. la sua borsetta. la borsetta di lei. infradiciata.

rideva forte. le gocce scendevano giù veloci veloci. le scarpe dovevano essere state verdi prima del temporale estivo. le scarpe, ballerine ultimamoda, ora marroncine, nere e a tratti color fango, dove colore è un aggettivo, le scarpe di lei. belle. infradiciate.

lei rideva. rideva e non riusciva a non singhiozzare. non riusciva a fermare i movimenti aritmici delle spalle. rideva. infradiciata.

in quel giorno d'estate, lei aveva avuto un po' freddo, s'era preparata al brutto tempo stringendosi nei jeans lunghi, nel trench, ma s'era scordata l'ombrello. faceva freddo pensava lei, ma non pioverà mai, si diceva speranzosa.

ma poi aveva piovuto, e anche la corsa non le era bastata. e manco la sua borsetta, bella e piccina, le era bastata. e manco il trench, le era bastato. si era infradiciata.

ora, mentre rideva, un riso amaro, l'unica cosa che pensava erano i 50 euro buttati dal parrucchiere.

6.23.2011

altri

guardo le vite degli altri.
gli scrittori per farsi passare i giorni se le inventano. io no, io faccio prima a guardarle.

gli altri vivono: fanno cose, vedono gente, per citare citazioni note ai più. si incontrano si scontrano si emozionano blaterano coinvolgono fanno mangiano dormono condividono lavorano.
io no. io guardo cosa fanno gli altri, e penso.

penso tutto il tempo a cosa fanno gli altri, come lo fanno, come fanno a fare quello che fanno, come fanno a parlare con gli altri altri come loro, che linguaggio usano, come si vestono, si siedono le regole che conoscono quelle che ignorano, le cose che fanno da soli con gli altri e ridono e si divertono. fumano.

io no. io non ci so stare. con gli altri che fanno le cose come gli altri e vivono come gli altri e parlano come gli altri.
io vorrei solo sapere come si fa, vorrei tanto sapere come si fa. per questo li guardo.

le vite degli altri son interessanti: fanno un sacco di cose che sembrano divertenti poi te le raccontano con due frasi e ti dicono "niente di che" e tu, io cioè, pensi che non è che sia niente di che è un sacco di cose. un sacco di cose. cose.

gli altri hanno vite mostruose. o bellissime. o divertentissime. o fighissime. o tristissime. le cose degli altri, le vite degli altri, sono sempre issime. la mia no.

il protagonista del film le vite degli altri. quello alla fine una vita l'aveva anche lui. anche lui ha fatto delle cose fighissime, bellissime. mostruose. io no. io le guardo le vite degli altri.

mi passano accanto, mi sfiorano, a volte ci scontriamo alle fermate dei bus. una volta quando prendevo i mezzi pubblici. ora anche i mezzi i pubblici fanno parte delle vite degli altri.

posso usare intere giornate a guardare le vite degli altri. le uso proprio. escogito piani diabolici. le vite degli altri dopo un po' che le guardi ti fanno quest'effetto. ipnosi. suggestione. autosuggestione. le vite degli altri sono dense. lo sono per tv, lo sono per strada, sui giornali, tra le parole spese seduti al bar. io le guardo.

li guardo da 28 anni e ancora non c'ho capito un cazzo.
voglio fare un corso di altruismo. non nel senso buono della parola. ma nel senso vero sì, io voglio fare un corso che mi insegni ad essere gli altri lì, perché ad essere questa qui dopo 28 anni posso ben dirlo che secondo me non ne son mica capace.

mal di casa

ed è già tardi.
giri la chiave, una risata fermata sul pianerottolo.
occhi che brillano brilli, sorrisi non ancora spenti.
entri. e sembra la fine.

fine serata, fine giovinezza.
fine.

ogni volta la stessa cosa.

entrare in casa mi mette a disagio. sempre.
fin da quando ero bambina. entrare in casa significava fine.

quel che di bello accade, accade fuori.
dentro niente. vuoto totale.