tu credi che le stagioni passino senza dare più grandi scossoni
e poi sono giorni, giorni e notti, di grandi palpitazioni
trema la terra che non ti bastano le metafore per spiegarlo e ti viene solo una parola in mente
terremoto
metti in fila un pensiero e t'allontani dal banco
mentre io che son lontana mi godo il freddo di maggio
guardando con occhi tristi le nuvole che vanno e vengono
il mio paese è triste, ogni giorno ne capita una
le chiamano calamità naturali
le chiamano cose che noi non sappiamo
le chiamano con nomi inappropriati
il mio paese è morto e non c'è una cosa che mi piaccia poi molto
tranne il caffè riscaldato della moka da tre che sibila e traballa nella sua eruzione mattutina
tranne che ci sono dei monumenti, che poi non ci sono più, che poi io non li capisco non ne so niente
di arte
di storia dell'arte
non ho la sindrome di stendhal
il mio paese è malato vomita sentenze alle 5 del pomeriggio con la cipolla che aiuta a farti il cuore triste
non tanto per quel che capita quanto più per la tristezza che ti trasmette la tv del progresso
e qui, qui che a maggio è novembre, che al tempo dei vespri le piazze sono vuote
che il caffé non è caffè e il cibo è plastica e aneddoti
qui che si paga per respirare
che l'università è per ricchi
che se sei della working class fai prima a suicidarti
che se sei della working class l'unico modo che hai per affermare te stessa,come donna,
è
fare un figlio
a 13 anni.
due scarpe non bastano, due piedi non bastano, due occhi non bastano, due mani non bastano
potrò andare ovunque nel mondo e sentire che qualcosa manca
sentire che tutto ciò che mi porto dietro è subdolamente dato per scontato ma inutile
e anche parlare non basta
scrivere non basta
sedersi su una panchina vuota e condividerla chi vive avvolto nelle coperte con il naso rosso dal troppo vino e le mani bianche dal troppo freddo mentre aspetta un caffè a riscaldargli la giornata
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